L’attore e regista messinese ha firmato un nuovo adattamento del celebre dramma di William Shakespeare. Sul palco i messinesi Angelo Campolo, Giovanni Boncoddo e Maurizio Puglisi.
L’Amleto che Ninni Bruschetta mette in scena è il risultato della precisa volontà del regista di proporre una lettura fedele dell’opera shakespeariana, tant’è che il titolo dello spettacolo nella sua completezza è: Amleto di William Shakespeare. “Fedele”, puntualizza comunque il regista, “nella misura in cui la fedeltà prevede un margine, sia pur impercettibile, di tradimento. Del resto tradire un testo significa anche tramandarlo, cioè, nel caso del teatro, renderlo leggibile ad un pubblico moderno”.
Il personaggio che emerge dal profondo studio dedicato da Bruschetta all'opera shakespeariana indossa i panni della figura archetipica, ma contemporaneamente è un uomo moderno, è il rappresentante di un mondo che acquisisce la consapevolezza di una caduta spirituale e sceglie di abbandonare il Paradiso Terrestre per diventare semplicemente un uomo. Amleto, nella trascrizione scenica di Bruschetta, è l’uomo nella sua imperfetta completezza, ma privo di una certa convenzionale cupezza con cui spesso viene rappresentato. Anzi, è un uomo vivo, vitale, attivo, un uomo che sceglie, in cui il dubbio rappresenta solo un passaggio obbligato. “Probabilmente sceglie la cosa sbagliata”, tiene a precisare Bruschetta, “ma sceglie. Il suo discorso più celebre passa attraverso un dubbio che fuga già nelle ultime righe, quando parla della purezza dell’azione. Allora, o Amleto decide per la vendetta perché crede che “agire” sia più nobile o perché vuole semplicemente vendicarsi. Ma sceglie di agire. Dal momento in cui capisce chi ha ucciso suo padre, ordisce una trama “teatrale” che porta esattamente dove vuole lui. La sua domanda è già la sua risposta”. La lettura, suggestiva, offre un’ulteriore occasione per continuare a riflettere sui grandi temi di sempre: sul perché della vita e della morte, sul rapporto tra verità e menzogna, tra desiderio di giustizia e vendetta; sul ruolo del caso; sul potere reale o illusorio della volontà. A sottolineare l’atemporalità delle problematiche che la vicenda propone i costumi di Cinzia Preitano, le scenografie di Mariella Bellantoni, le musiche di Toni Canto eseguite dal vivo dallo stesso autore e da Gianluca Sanzariello.
“Per fare questo” ha dichiarato Bruschetta, “ho formato una compagnia nata dall’aver individuato in Angelo Campolo, giovane attore messinese, già rodato come protagonista da Luca Ronconi ai tempi della sua formazione presso la scuola del Piccolo di Milano e da Vetrano e Randisi, nel loro più recente Pirandello (Trovarsi). Incontrare Angelo e soprattutto conoscere il lavoro che in questi ultimi anni ha condotto sul territorio della nostra città, con un nutritissimo gruppo di allievi, è stata dicevo la prima intuizione. Come in un bellissimo libro di Brook (Lo spazio vuoto), “incontrare” l’attore, con tutto ciò che può esserci di casuale in ciò, e riconoscere in lui il possibile interprete è la prima motivazione per un regista che si approccia a un testo di Shakespeare. E così anche gli altri ruoli hanno una loro storia, dai principali ai più piccoli. Il Polonio di Antonio Alveario, attore tragico e grottesco, per dieci anni nella compagnia di Leo De Berardinis, la Gertrude di Maria Sole Mansutti e il Claudio di Emmanuele Aita, scelti durante un provino-laboratorio in cui hanno portato un’interpretazione sorprendente e, a mio parere, innovativa di due personaggi difficili e controversi, il Fantasma di Gionni Boncoddo, già attore del mio Giulio Cesare (1998), vittima di un incidente che lo ha restituito alla vita dopo avergli fatto scontare due mesi di coma e molti anni di riabilitazione, il Becchino di Maurizio Puglisi, attore (Cassio nel Giulio Cesare sopra citato) e produttore, attualmente presidente del nostro teatro che “vuole” rimanere in scena rinunziando al compenso, l’Ofelia di Celeste Gugliandolo, celebre per le sue doti canore ma altrettanto sensibile attrice, e gli altri giovani, tutti provenienti da un importante fermento locale, preparati anche al lavoro sul verso e sulla parola, che ricoprono i ruoli più piccoli esercitando l’artifizio del raddoppio o personaggi altrettanto complessi e corposi come Orazio (Francesco Natoli), Fortebraccio (Alessandro Lui) e Laerte (Ivan Bertolami)”.