“Il sapere del corpo” prenderà il via giovedì 21 novembre, alle 9.30, all’Università degli Studi di Messina, nell’Aula Salvatore Pugliatti presso la Facoltà di Giurisprudenza (in piazza Pugliatti). Interverranno la penalista Lucia Risicato, il neurologo Paolino La Spina e l’architetto Luciano Marabello e sarà messa in scena una performance liberamente tratta dal romanzo di formazione “Non mi avrete mai” di Gaetano Di Vaio e Guido Lombardi, a cura di Angelo Campolo, Alba Sofia e Giusi Venuti
Una giornata dedicata agli studenti di giurisprudenza e un laboratorio di 30 ore di etica applicata rivolto a detenuti e guardie penitenziarie del carcere di Gazzi. C’è tutto questo ne “Il sapere del corpo”, progetto pilota di ricerca e formazione alla bioetica, realizzato su impulso della filosofa e ricercatrice messinese Giusi Venuti nell’ambito di “Cogitazioni”.
“Il sapere del corpo” prenderà il via giovedì 21 novembre, alle 9.30, all’Università degli Studi di Messina, nell’Aula Salvatore Pugliatti presso la Facoltà di Giurisprudenza (in piazza Pugliatti). Interverranno la penalista Lucia Risicato, il neurologo Paolino La Spina e l’architetto Luciano Marabello e sarà messa in scena una performance liberamente tratta dal romanzo di formazione “Non mi avrete mai” di Gaetano Di Vaio e Guido Lombardi, a cura di Angelo Campolo, Alba Sofia e Giusi Venuti.
Parteciperanno, inoltre, il sindaco di Messina Renato Accorinti, il sindaco di Capo d’Orlando, Enzo Sindoni, il direttore del carcere di Gazzi, Fulvio Tessitore, il presidente dell’Istituto siciliano di bioetica, Girolamo Cotroneo, e la docente Marianna Gensabella, membro del Comitato nazionale di bioetica.
Lo scopo è quello di mantenere fortemente intrecciati ambiti che spesso si affrontano separatamente e che sono, appunto, la ricerca filosofica su temi di portata etica e le arti performative. Da più parti viene invocata l’umanizzazione delle pratiche. Ma in nome di cosa? Perché o per chi cambiare in un tempo vuoto di contenuti, di speranze e di sogni?
Che senso ha parlare di umanizzazione se non si crea, prima, uno spazio-tempo in cui queste questioni vengano assimilate non come una pesante aggiunta teorica ma come un necessario cambiamento di prospettiva? Come si può, davvero, lavorare per l’umano se non si affinano le sensibilità?
Su questi spunti si confronteranno filosofi, attori, musicisti, architetti, giuristi e neurologi, con l’intento di promuovere l’attivazione di un laboratorio di etica applicata per detenuti e guardie penitenziarie.
Il progetto, inoltre, è stato già approvato dall’Asp di Messina per la formazione di medici e paramedici.
Il senso è quello di provare a fare ricerca sulle Scienze Umane non limitandosi ad osservare da lontano, ma andando a vedere come le cose stanno, non con l’occhio compassionevole di chi, stando dall’altra parte della barricata, vuole “salvare anime”, ma di chi – in nome di quella vulnerabilità che, da sempre, il teatro ci invita a guardare – vuole testare la competenza acquisita con persone e luoghi resi invisibili dall’indifferenza della post-modernità.
“Obbedendo al dinamismo interno al fare teatro – sottolinea Giusi Venuti, responsabile del progetto – si vuol portare avanti questa ricerca con un’inversione di movimento: non saranno i partecipanti a dover andare a teatro, ma saranno gli scienziati e gli artisti che, per non morire di asfissia andranno dentro ai luoghi in cui vivono queste persone”.
L’idea è, dunque, quella di favorire un concetto di scienza come lavoro che tiene in equipe persone provenienti da diversi ambiti di ricerca, a cui tocca il compito etico di ripensare la formazione come costruzione culturale complessa che, distendendosi nel tempo e ancorandosi al potere performativo delle arti, possa innescare una maggiore consapevolezza.