Con l’intervento dei professori Stefano Agosta e Francesco Pira e della professoressa Katia Trifirò, si è tenuto il seminario “Il corpo in vetrina: tra miti e stereotipi di genere”
Un webinar per discutere di oggettivazione della donna e stereotipi di genere, nonché del loro impatto sulla piaga della violenza di genere. La sezione messinese del partito progressista paneuropeo Volt ha fatto incontrare politica e mondo accademico, traendo il meglio dalla classe di studiosi e professionisti che la terra siciliana è in grado di offrire.
Il corpo in vetrina: tra miti e stereotipi di genere
Domenica 8 novembre, sulla pagina facebook di Volt Messina, con l’intervento dei professori Stefano Agosta e Francesco Pira e della professoressa Katia Trifirò, si è infatti tenuto il seminario “Il corpo in vetrina: tra miti e stereotipi di genere”. L’evento rientra nel progetto regionale Noi Siamo Antigone, nato per sensibilizzare, analizzare e contrastare la violenza sulle donne, proponendo soluzioni sulla base delle esperienze, dei dati e dei pareri raccolti.
Le parole di Massimiliano Milazzo
“Anche rispetto al Sud Italia, la Sicilia – dichiara Massimiliano Milazzo, ideatore del progetto e Vice Coordinatore di Volt Messina – è tra le regioni che più soffre della diffusione di stereotipi sui ruoli di genere: normalmente, più in Sicilia che altrove, si tende a giustificare alcuni atti di violenza nei confronti delle donne a causa degli stereotipi culturalmente incanalati in uomini e donne sin dalla tenera età”.
L’immagine della donna oggetto
“Può la rappresentazione femminile nella società attuale influire sulla stereotipizzazione di genere e in che termini? Per rispondere a questa domanda – dichiara Veronica Pagano, responsabile locale del progetto – è doveroso partire dalla premessa secondo cui i media tradizionali e digitali ci restituiscono l’immagine di una donna oggetto che si riflette nel grave fenomeno della violenza. Da qui l’idea dell’evento proposto ai tre stimati professionisti”.
Il messaggio dei social
Da instagram a tik tok: i social network sono ormai diventati luoghi privilegiati di definizione ed esposizione pubblica della propria immagine: “il corpo – chiarisce il sociologo Francesco Pira – rappresenta il dominio della sessualità e dell’Io: è sempre adornato e (talvolta all’insegna di ideali più elevati) mutilato e costretto al digiuno. Il corpo, da un lato, è portatore di identità (un privato che diventa pubblico) e, dall’altro, è divenuto strumento (il corpo esibito)”. Uno degli imperativi è: “imparare ad amarci, a riprendere in mano la nostra vita, a curarci, ad aiutarci. Non possiamo dire che la colpa sia delle tecnologie per pulirci la coscienza”.
Stereotipi che persistono
La professoressa Katia Trifirò ha insistito sulla persistenza degli stereotipi di genere nella cultura occidentale che ancora “condizionano linguaggio, relazioni ed ogni aspetto della sfera pubblica e privata. Da una parte, il linguaggio quotidiano e il discorso pubblico hanno un impatto sulla diffusione dei contenuti d’odio. Dall’altro lato, i social media sono corsia preferenziale all’incitamento, all’intolleranza e al disprezzo nei confronti di gruppi percepiti come minoritari o socialmente più deboli. Si urla contro le donne anche quando vittime di violenza”.
Libertà 3.0
Il body shaming è una forma deleteria di violenza psicologica cui i media oggi fanno da cassa di risonanza: “ciò che preoccupa oggi è il metodo – dichiara il professore Stefano Agosta – il rischio è che tali pratiche perseguano la vittima per tutta la vita. Il filo rosso è la violenza: una violenza che nel body shaming è molto più subdola e strisciante”. Quali i valori costituzionalmente garantiti coinvolti? “La libertà di autodeterminazione, anche nel proprio aspetto fisico: una libertà 3.0, che implica una scelta personale e insostituibile, una scelta esistenziale e la libertà di manifestazione del pensiero che non implica assolutamente il giudizio distruttivo”.
Il compito della politica
“Tutelare soprattutto le nuove generazioni, abbandonando canoni e stereotipi socialmente imposti – dichiara ancora Veronica Pagano – la politica deve promuovere azioni che contrastino la cultura misogina e sessista di cui è intrisa la nostra società, promuovendo un linguaggio inclusivo e attento alla parità di genere”.
Come? Lo chiarisce Alfredo Mangano, coordinatore di Volt Messina: “interventi legislativi e codici etici per un reale rispetto delle diversità a tutela di tutti e di tutte: non possiamo più permettere che le persone debbano sottostare a costrutti sociali che non li rappresentano. Libertà nelle diversità: la politica deve garantire che ognuno possa essere semplicemente sé stesso. Bisogna investire sulla comunicazione e sull’educazione scolastica, riformando quei programmi ancora fondati sui costrutti sociali, e introdurre l’educazione interpersonale e sessuale”.