Silenzio agli interrogatori degli arrestati dalla Polizia per lo spaccio di droga a Mangialupi. Le intercettazioni
MESSINA – Bocche cucite agli interrogatori da parte dei pusher della zona tra Mangialupi e Provinciale arrestati dalla Polizia due giorni fa. Interrogatori cominciati ieri e che andranno avanti fino a domani, con le persone ai domiciliari. Intanto ieri è stato un muro di silenzio quello che il giudice si è trovato davanti. I Mazza e gli altri arrestati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e hanno taciuto, difesi dagli avvocati Salvatore Silvestro, Carlo Autru Ryolo, Cinzia Panebianco, Pietro Venuti e Massimo Marchese.
In due si difendono
Parlano soltanto Aurora Aliotta e Demetrio Lombardo, e lo fanno per difendersi: loro con l’attività di spaccio non c’entrano. Ma la Procura di Messina non gli crede. Le indagini della Squadra Mobile raccontano invece ben altro. Nel 2019 un cliente mette sulla buona strada gli investigatori diretti da Gianfranco Minissale e Salvatore Di Maula, consentendo loro di individuare nella famiglia Mazza i nuovi “re” della piazza di Mangialupi. Sotto controllo finisce una delle loro abitazioni usate come base del giro di droga, da dove i tossici vanno e vengono in continuazione, a tutte le ore del giorno. La cocaina che vendono evidentemente è buona.
Le intercettazioni telefoniche
“No ma quella è esplosiva, era da tempo che non ne vedevo di questa cosa qua io buona.”, dice infatti Lucio Mazza in una delle conversazioni intercettate. Tanto buona da permettergli di fare bei soldoni. “La miniera…la miniera sono io!“, si auto compiace ancora lui in un’altra conversazione ascoltata dalle cimici degli agenti.
E soldi i Mazza e gli Umbertalli ne hanno guadagnati davvero tanti, a sentire ancora una volta loro: “Ne avanzavano 90, io gliene ho mandati 80, ne rimanevano 10, più 40 che loro portavano a casa, arrivavamo sempre a 50…rimanevamo 7, 8, 9 mila euro sotto, sempre sotto…ma ora siamo arrivati al punto, prima camminavamo forte.”, calcola ancora una volta Lucio Mazza.
Le cimici e le telecamere degli “sbirrazzi”
A incastrarli sono proprio le intercettazioni telefoniche. Eppure loro si sentivano al sicuro: usavano per il “business” soltanto determinati cellulari con schede intestate appositamente a nome di “tossici”. Un espediente che non ha ingannato gli investigatori. Si sentivano tanto sicuri che neppure intravedere gli “sbirrazzi” intorno, in occasione di una consegna di droga nei pressi del Policlinico, li convince a desistere.
Le video camere piazzate nel fortino di Mangialupi hanno fatto il resto, riprendendo i Mazza ad entrare ed uscire di casa per prendere e posare i pacchetti di droga dai tombini, i tubi di scolo, il tetto, le auto parcheggiate all’esterno delle abitazioni.