Ci sono storie che devono essere raccontate. Sono storie di famiglie e di medici che non si arrendono. E vincono anche quando si perde tutto, tranne la speranza
“Ho sognato mio padre che mi diceva: non ti sento più Gemma, adesso io vado su e tu vai giù. Il giorno dopo mi sono svegliata”. Mentre Gemma Amendolia parla, in diretta dall’Irccs Bonino Pulejo, martedì 30 maggio, intervenendo a Storie Vere, con Eleonora Daniele, su Rai 1 l’emozione si legge negli occhi di tutti.
La storia della 26enne messinese, vittima di un terribile incidente durante la Targa Florio, uscita dal coma e “ritornata giù” nel mondo mentre il papà Mauro andava via, inchioda migliaia di telespettatori in tutta Italia. Il suo racconto, quello della madre Rosaria, del professor Dino Bramanti e dei medici che l’hanno seguita in un vero e proprio “miracolo” della tenacia, è una di quelle storie di buona sanità che devono attraversare lo Stretto.
Dobbiamo provare a scrollarci di dosso l’’immagine del siciliano che per curarsi e salvarsi deve oltrepassare lo Stretto in treno, nave o in aereo e per farlo è importante conoscere quelle storie, che sono tante, che dipingono una realtà diversa, di vite salvate, di professionalità messe al servizio del territorio. Ci sono tantissime ombre, ma le luci val la pena conoscerla.
Le storie di Gemma e Francesco sono due tra le tante, mosaici composti solo grazie a tasselli che mettono insieme i medici, le famiglie, i volontari.
Ero presente nel corso della trasmissione di Storie Vere, in diretta dall’Irccs ma non basta ascoltarle, occorre ripeterle, e ripeterle, ripeterle. Per dare forza.
Ripetere la storia di Gemma, che ha sognato l’ultimo addio del padre tanto amato, che le aveva trasmesso nel Dna la passione per il Rally, e tra non molto lascerà il Neurolesi. A marzo si è laureata in architettura ma il 21 aprile ha incrociato con lo sguardo la morte. Gemma che tra i progetti ha quello di costruire il Ponte sullo Stretto, ce la farà. Tornerà anche sulle 4 ruote “papà voleva che io guidassi solo nei Rally femminili, per questo gli facevo da navigatore e non guidavo. Ma tornerò a correre”.
Ha sognato papà Mauro che le diceva addio, ma al suo risveglio l’affetto di tutti le ha fatto da muro per impedirle di essere schiacciata da quella verità. E’ stato un percorso lento, nella sua camera non hanno lasciato entrare telefoni, giornali, tv ed anche quando lei provava con qualcuno a far domande, è stata anteposta la sua salute a qualsiasi altro nuovo dramma che avrebbe potuto comprometterla.
La mamma Rosaria racconta di come, subito dopo l’incidente, le speranze per Gemma fossero ridotte al lumicino. Nessuno in quei giorni avrebbe scommesso su quanto avvenuto poi all’Irccs, dove è stata trasferita l’8 maggio dall’ospedale di Palermo.
Sedute una accanto all’altra, mamma, lei, la sorella, sembrano tre gocce d’acqua: “ma di carattere siamo diverse…. Mia sorella è più saggia….”avverte Gemma.
E se oggi Gemma chiacchiera, insieme alla sorella ed alla madre, se vuol raccontare l’amore per le auto ed il Rally, se è pronta ad abilitarsi per entrare nell’albo professionale, lo si deve ad un lavoro di squadra che ha visto in campo tutti.
Lo stesso Bramanti, insieme al dottore Francesco Corallo, mettono sull’avviso: “la forza trascinante di Gemma, che pur le ha consentito di riprendersi, non deve ingannare, perché il momento dell’elaborazione del lutto e della tragedia, arriverà”.
C’è poi la storia di Francesco Calà. E’ la storia di una famiglia. La storia di due genitori anziani che dal 2009, ogni giorno, si sono recati all’Irccs, per accudire un figlio che è entrato in corsia con una diagnosi di coma vegetativo ma che adesso ha reazioni, comunica con il mondo esterno.
E’ la storia di una mamma che ha “partorito” per la seconda volta il suo bambino e che lo nutre, lo coccola e dice: “mamme, non dovete mai abbandonare i vostri figli, qualunque cosa accada non arrendetevi mai”.
Sono persone semplici i genitori di Francesco, il papà è un ex carabiniere e la madre è casalinga e vivono a Randazzo. Francesco aveva 25 anni quando la sera del 7 settembre del 2008 dopo aver finito di lavorare come autista di mezzi pesanti in una ditta di Augusta, chiamò la nonna, con la quale viveva da un paio d’anni a Villasmundo, per avvisarla che avrebbe tardato per uscire con un amico. A casa non è più tornato. Dal Garibaldi di Catania viene trasferito dapprima all’unità di risveglio dell’ospedale di Crotone poi, nel febbraio 2009, all’ Irccs: totale assenza di motilità agli arti, nessun contatto con il mondo esterno e diagnosi di stato vegetativo.
“La presa in carico di Francesco ha previsto il coinvolgimento dell’intera famiglia. Il primo periodo della riabilitazione è stato incentrato sul recupero della coscienza per il paziente e sul supporto psicoemotivo per i familiari” spiega il dottor Corallo.
Nel marzo del 2010 Francesco passa da uno stato vegetativo ad un stato di minima coscienza, comincia lentamente a reagire. Contemporaneamente, con i familiari, è stato fatto un importante programma psico-educazionale da parte di un team riabilitativo (medico, infermiere, fisioterapista, logopedista e psicologo), per la loro autonomia nella gestione del loro caro. Nel 2011 inizia ad essere possibile, per i genitori, far mangiare Francesco, passo importante per il ripristino degli scambi relazionali.
Oggi c’è ancora una condizione grave di cerebrolesione ed uno stato di minima coscienza e si iniziano ad apprezzare movimenti attivi alla gamba destra. Non è quel ritorno alla normalità che la famiglia sogna ma Francesco non è più in stato di coma vegetativo. In questi anni i genitori non lo hanno mai lasciato solo, si sono trasferiti a Messina. Sono loro che si occupano di tutte le cure primarie del figlio (lavarlo, vestirlo, dargli da mangiare), lo accompagnano negli spazi destinati alla riabilitazione. Francesco è in grado di ridere alla battute, di esprimere alcuni bisogni primari ed essere parte integrante del contesto in cui si trova. Tra qualche mese tornerà a casa, in una nuova casa, che la famiglia ha attrezzato per le sue esigenze.
In studio in diretta telefonica interviene la sorella Agata, che per spiegare come, solo grazie a chi non si è arreso e ha sostenuto i familiari adesso si racconta una storia diversa. Non è il lieto fine che tutti avrebbero voluto ma è una storia dell’amore che vince.
Sono tante le storie come questa che “camminano” per i corridoi dell’Irccs che si appresta a nuovi obiettivi, al fianco di quei bambini speciali che hanno bisogno di stuoli di angeli in carne ed ossa.
Tra i corridoi scopri la storia del ragazzo “condannato” 30 anni fa da una malattia che lui ha sconfitto e adesso fa il volontario, c’è la ragazza che guarda in faccia un tumore di dimensioni inaccettabili e non ha perso la forza di sorridere, c’è l’adolescente che giocando a calcio si è accasciato ed al risveglio la sua vita è cambiata per sempre, non vedrà più i colori del campo.
La vita è spietata. Dietro queste mura ci sono persone che lo sanno ma non per questo smettono di avere speranza. La speranza è un dono.
Per questo Tempostretto, nei modi e con la sensibilità giusta, spera di poter raccontare queste storie di vita che sono di eroi che nessuno conosce e che vincono anche quando hanno perso tutto.
Nei loro pugni chiusi resta la speranza. Domani è un altro giorno.
Rosaria Brancato