Rinviati a giudizio i fratelli Messina e i collaboratori accusati dei fallimenti pilotati delle società di vigilanza privata
Comincerà il prossimo 18 novembre, davanti la I sezione penale del Tribunale, il processo per i sei imputati per il crack della Vigile Peloritano, poi New Vigile Peloritano, infine Folgore Vigilanza.
Il Gup Monica Marino, su richiesta della Procura, ha rimandato a giudizio i due fratelli Antonino e Sebastiano Messina, arrestati a metà del dicembre scorso e poi scarcerati dal Tribunale del Riesame, e il padre Rosario, quasi 90 anni. Vanno al vaglio processuale anche la moglie di Sebastiano, Maria Letizia Mangano, alla quale il marito ha intestato, nel 2009, il contratto di leasing della Bmw 320 della società, mascherando contabilmente il trasferimento dalla società al patrimonio personale della moglie con un acquisto, ma ad un prezzo nettamente inferiore del valore, e come “pezza d’appoggio” un assegno che non trovava riscontro nella contabilità della società. Poi Angelo Pistone e Domenica Chillè, amministratore unico e socia della Folgore Vigilanza, al centro di un aumento di capitale secondo la Finanza assolutamente irregolare. L’altro socio era Antonino Messina.
L’inchiesta della Guardia di Finanza ha concluso che la famiglia aveva effettuato “cessioni di rami d’azienda” illeciti, evadendo il fisco e truccando i bilanci, da una società ad un’altra, dichiarando il fallimento della prima e aprendo una seconda, dalla Vigile Peloritano alla New Vigile Peloritano infine Folgore Vigilanza, continuando di fatto ad operare ma evadendo i debiti.
Una indagine che ha fatto luce sul retroscena di una sequela di fallimento che aveva avuto pesanti ripercussioni sui lavoratori, impegnati per un lungo periodo nelle trattative sindacali, passate anche dalla mediazione della Prefettura. A condurre il caso è stato il pm Fabrizio Monaco. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Valter Militi, Aldo Lombardo, Maurizio Parisi, Antonio Centorrino, Filippo Cusmano e Pietro Giannetto.