Caos procure, Scavuzzo: nuova stagione giudiziaria ancora possibile

Caos procure, Scavuzzo: nuova stagione giudiziaria ancora possibile

Alessandra Serio

Caos procure, Scavuzzo: nuova stagione giudiziaria ancora possibile

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martedì 02 Luglio 2019 - 07:30

Il componente del consiglio direttivo centrale dell'Anm, esponente di MI, chiede l'avvio di un'autocritica sulle lusinghe della politica

Mentre al CSM lo scontro si acuisce, il magistrato messinese Ugo Scavuzzo torna ad intervenire sulle polemiche che stanno dividendo in primis il sindacato delle toghe. Il componente del Consiglio direttivo centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati, eletto con Magistratura Indipendente, insiste sulla necessità di voltare pagina ma senza prima aver analizzato il passsato. Di seguito, il suo intervento.

Percepisco nitidamente un afrore di ipocrisia; sono l’unico? Il governo dell’A.N.M. è nelle mani dell’accusatore (Area ed Autonomia ed Indipendenza) e dell’accusato (Unità per la Costituzione) ed auspica che un nuovo umanesimo defibrilli le moribonde coscienze dei protagonisti della giurisdizione. Solo una sublime regia può aver reso possibile tutto questo.

Tendo a razionalizzare, sono un inguaribile ottimista, ma credo che i magistrati, quelli più silenziosi e che vanno in udienza tutti i giorni, sapranno distinguere.

A questo punto occorre chiedere scusa a tutti i cittadini per lo spettacolo scarsamente edificante, anzi mortificante, che, in diversa misura e con un diverso coinvolgimento dei suoi attori, è andato in scena su media e piattaforme telematiche in questi giorni.

Occorre chiedere scusa anche ai colleghi per aver offerto loro in sacrificio solo alcuni dei colpevoli delle degenerazioni correntizie che, però, affondano le loro radici nel passato non recente.

La necessità di voltare pagina non può esimerci, infatti, da una seria analisi della nostra storia passata; il fatto che le condotte emerse in questi giorni abbiano assunto connotazioni di maggiore gravità, non deve farci dimenticare il passato governo del CSM.

L’omissione di una analisi seria di quanto è accaduto in tempi più lontani fa apparire le urla di chi oggi si colloca al governo dell’ANM, dimentico del proprio passato, come espressione di un vuoto moralismo, finalizzato solo ad offrire dei colpevoli in pasto alla opinione pubblica, senza affrontare seriamente le ragioni che di quelle condotte sono state l’origine, forse al fine di proseguire sulla base delle regole, di fatto, che fino ad oggi hanno regolato l’autogoverno; si gareggia per primeggiare nel lancio delle pietre per la lapidazione, per far dimenticare agli altri il proprio passato di peccatori.

E, allo stesso modo, non possono essere taciute quelle condotte che hanno incrinato l’immagine di terzietà della magistratura e spinto l’ANM nell’agone politico, con l’invasione del campo che i nostri padri costituenti hanno riservato al parlamento e la magistratura a tessere – ahimè – fittissimi rapporti con la politica.

Facciamo tutti un passo indietro. Riflettiamo sulla delicatezza della nostra funzione; manteniamo salda la consapevolezza d’essere quotidianamente chiamati a partecipare ad un rito quasi sacro, d’essere stati investiti dalla collettività, nonostante i nostri vizi e le nostre manchevolezze, del compito di dirimere le controversie tra gli uomini e di decidere della libertà personale degli uomini e ciò in nome del popolo; dovremmo rammentare che la nostra Autorità non dipende dalla nostra infallibilità, ma dipende – non v’é opzione diversa – dall’affidamento del potere della decisione agli uomini.

Solo il consolidamento di questa consapevolezza ci consentirà di resistere alle adulazioni ed al corteggiamento della politica o, come già scritto mirabilmente da Rosario Livatino, di resistere al desiderio di “incarichi e prebende”; i cittadini, già disillusi, vogliono sapere se la soggezione del giudice alla legge e se l’indipendenza dagli altri poteri dello Stato sanciscano effettivamente l’impossibilità di qualsiasi subalternità dal sistema politico.

Comprendo l’esigenza che lo Stato democratico abbia una magistratura che abbia voglia di calarsi nella dinamica dei rapporti sociali, che abbia voglia di contribuire ad arricchire il dibattito su temi sensibili, ma ciò deve e può avvenire evitando il collateralismo con i partiti politici, evitando che taluni comportamenti possano produrre il “germe della contaminazione, il pericolo dell’interferenza”.

L’indipendenza, non solo dichiarata ma anche praticata, è insieme un valore, un patrimonio della società, del popolo italiano, un dovere del magistrato; alla diffusa diffidenza della cittadinanza, aggravata dai fatti recenti del caso “Procure”, il magistrato deve rispondere rivendicando l’assoluta indipendenza dal potere politico; un patrimonio diffuso che va tutelato dalle continue minacce provenienti dalla parte meno illuminata della politica e dall’interno della magistratura; se per un verso va criticata la classe politica che minaccia o blandisce la magistratura, per altro verso il cittadino deve esigere dal magistrato fedeltà assoluta alla Costituzione, capacità di sacrificio, conoscenza tecnica, trasparenza della sua condotta anche fuori dai muri della sua stanza, del suo ufficio, deve esigere che la scelta di ricoprire cariche politiche o incarichi extragiudiziari ad altissimo tasso di fiduciarietà sia irreversibile, almeno moralmente; l’indipendenza del giudice non è solo nella propria coscienza ma anche nell’apparenza; è sorprendente come allo stato si pongano limiti stringenti alla libertà insegnamento del magistrato senza che nessuna abbia mai voluto porre un argine alle migrazioni continue di magistrati verso i ministeri.

Il cittadino, però, non può esigere dal suo giudice l’infallibilità, non può esigere che il giudice interpretando ed applicando la legge rinunzi alle sue opinioni, alla sua fede, alle sue paure; il giudice è uomo che applica (tenta di applicare) fedelmente la legge con il dovere di interpretarla con i suoi vizi, difetti e le sue manchevolezze; ciò dovrebbe indurre il legislatore a riflettere sull’opportunità di riformare nuovamente (e forse con intento punitivo e sull’onda anomala emotiva provocato dal caso Caos Procure) la legge sulla responsabilità dei magistrati.

La rinnovata consapevolezza della delicatezza della funzione, una più attenta difesa della indipendenza, una più matura considerazione dell’importanza dei valori della terzietà, della imparzialità possono costituire le premesse per una nuova stagione giudiziaria.

L’occasione può essere proficua per affrontare altri delicatissimi temi, la separazione delle carriere e la riforma del CSM La separazione delle carriere del giudice e del PM, auspicata da una porzione dell’avvocatura e della politica, presenta delle fortissime correlazioni con il tema della indipendenza e con il tema dell’equilibrio tra poteri dello Stato. In un paese in cui la corruzione è un fenomeno apparentemente inarginabile, in cui il rispetto delle regole – anche le più elementari – è comportamento quasi inesigibile non penso sia saggio indebolire la magistratura, la sua indipendenza dal potere politico, ancor meno tracciare un percorso finalizzato alla creazione di una nuova magistratura servile, asservita all’esecutivo; mentre, a parer mio, nulla osta ad una più netta differenziazione delle carriere e dei ruoli a condizione che permanga l’assoluta indipendenza delle Procure dal potere politico e che si proceda a rafforzare, anzi a recuperare, l’indipendenza e l’autonomia del singolo Pubblico Ministero.

La riforma del CSM va meditata in un clima diverso da quello attuale; la diversa interpretazione del ruolo del consigliere, invece, è subito necessaria.

Ancora, perché l’equilibrio tra i poteri torni ad essere un valore effettivo e non solo dichiarato è necessaria che la magistratura tutta rinunzi all’idea di poter colmare un preteso (e non dimostrato) vuoto politico; rinunzi alla presunzione di poter supplire ad una pretesa ( e parimenti indimostrata) incapacità della politica di guidare il Paese; rinunzi alla tentazione della sovraesposizione, rinunzi alla ribalta mediatica dei frutti del proprio lavoro; rinunzi ad esteroririzzare, estrovertire il potere che le è assegnato; occorre, infine, rinunziare anche all’idea che il magistrato, l’eroe di turno, possa da solo curare i problemi della società.

A me piace coltivare l’immagine del magistrato scrupoloso, attento, aggiornato, ordinario, normale che va posto nuovamente al centro dell’attività associativa; normale, ma non vile e che abbia sempre il coraggio di rivendicare migliori condizioni di lavoro, carichi esigibili di lavoro; che abbia sempre il coraggio di affermare le proprie idee senza cadere nella tentazione di fare politica con i provvedimenti, che abbia la capacità di sacrificarsi senza rinunziare a comprendere cosa accade intorno a lui; che abbia la forza di proporre una nuova idea di magistratura, più equilibrata, che rifugga dall’idea di soverchiare il potere politico sostituendosi al legislatore o il potere esecutivo con attacchi diretti ad esponenti del governo; che non abbia paura di combattere per affermare i valori di cui è portatore; perché la parzialità non alberga nelle idee, nei valori, ma nell’appartenenza; l’imparzialità è estraneità agli interessi coinvolti nelle controversie e non anche indifferenza ad idee e valori che possono e devono essere veicolati nel quotidiano esercizio della giurisdizione e nel dibattito pubblico.

La magistratura può pretendere che il potere politico faccia un passo indietro se essa stessa è disposta a fare un passo indietro condannando il plateale esibizionismo di pochi (come di chi nel recente passato dopo un importante processo si è subito offerto alla politica), la condotta dei quali delegittima l’intera magistratura, ne mina la credibilità, la percezione di terzietà, la dichiarata distanza dal potere politico.

E’ disposta a soffrire il potere che le è stato delegato e non a godere di esso, è disposta a rinunziare alla tentazione della supplenza, a respingere le lusinghe della politica neutralizzando la continua migrazione fuori ruolo di centinaia di magistrati; è disposta a denunziare le sacche interne di inefficienza.

Sarà capace di rendere, a Costituzione invariata, più netta, anzi più percepibile, la separazione tra magistratura giudicante e requirente; Il sistema giustizia vive di equilibrio, esige equilibrio tra i poteri dello Stato, esige equilibrio all’interno dell’ordine giudiziario in cui tutte le sensibilità, anche attraverso le correnti, devono avere pari dignità.

L’esercizio della funzione esige equilibrio; si impone allora un servizio giustizia di qualità omogeneo su tutto il territorio perché, in uno Stato di diritto, i diritti dei cittadini devono avere pari dignità ed i magistrati devono poter esercitare le loro delicate funzioni con uguali risorse; legittimo, allora, chiedere e pretendere più risorse materiali ed umane dalla politica al fine di rendere effettiva la giurisdizione e per restituire tangibilità ad una attività oggi con “poche concretezze”; ma parimenti legittimo è esigere che siano i magistrati a promuovere forme di organizzazione dell’Ufficio e del lavoro idonee a perseguire obiettivi di efficienza e di produttività che però prescindano definitivamente dall’adattamento alla funzione del decidere di parametri aziendalistici ad essa completamente estranei; che siano i magistrati a combattere il dilagante conformismo interpretativo funzionale solo al raggiungimento di obiettivi di rendimento sempre propri delle realtà imprenditoriali; la giustizia non è attività di impresa, ma un servizio da rendere alla collettività.

Auspico un rapporto di leale collaborazione tra poteri dello Stato, tra tutti i protagonisti deputati alla amministrazione della giustizia e con l’Avvocatura la quale quotidianamente concorre alla tutela della legalità e svolge una funzione costituzionale essenziale ed insostituibile.

Un commento

  1. Salvatore Giambò 3 Luglio 2019 10:10

    Intervento articolato e di raro equilibrio.
    Salvatore Giambò

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