Nella rubrica di oggi Confedilizia approfondisce i temi del superbonus al 110%
Agenzia entrate, primi chiarimenti sul Superbonus Con la circolare n. 24/E dell’8 agosto (il cui testo integrale è scaricabile dal sito Internet www.superbonus110percento.info), l’Agenzia delle entrate ha fornito i primi chiarimenti sulla disciplina del Superbonus del 110%, tratteggiandone, tra l’altro, l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione. In particolare, l’Agenzia ha limitato l’ambito oggettivo di applicazione della misura agli interventi effettuati su edifici residenziali. Tale interpretazione contrasta con la lettera delle norme. Infatti l’art. 119, d.l. n. 34/2020, come convertito, va nella direzione opposta indicando come oggetto del Superbonus: al comma 1, gli interventi di cui all’art. 14, d.l. n. 63/2013, come convertito (interventi che sono relativi a qualsiasi tipologia di immobile indipendentemente dalla categoria catastale); al comma 4, gli interventi di cui ai commi da 1-bis a 1-septies dell’art. 16 d.l. n. 63/2013 (interventi anch’essi relativi a “costruzioni adibite ad abitazione e ad attività produttive”); al comma 9, lett. e), i soli “immobili o parti di immobili adibiti a spogliatoi”. A fronte di tale limitazione, l’Agenzia ha quindi precisato che “in caso di interventi realizzati sulle parti comuni di un edificio, le relative spese possono essere considerate, ai fini del calcolo della detrazione, soltanto se riguardano un edificio residenziale considerato nella sua interezza. Qualora la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza ricomprese nell’edificio sia superiore al 50%, è possibile ammettere alla detrazione anche il proprietario e il detentore di unità immobiliari non residenziali (ad esempio strumentale o merce) che sostengano le spese per le parti comuni. Se tale percentuale risulta inferiore, è comunque ammessa la detrazione per le spese realizzate sulle parti comuni da parte dei possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nel medesimo edificio”. Sempre con la circolare anzidetta, le Entrate hanno anche limitato l’applicazione della misura agli interventi effettuati su parti comuni di edifici condominiali, escludendo espressamente che il Superbonus si applichi agli interventi realizzati sulle parti comuni a due o più unità immobiliari distintamente accatastate di un edificio interamente posseduto da un unico proprietario o in comproprietà fra più soggetti. Tale interpretazione (oltre a non sembrare in linea con la normativa primaria: la lett. a), comma 1, dell’art. 119, già citato, si riferisce a interventi che interessano l’involucro dell’edificio, mentre la successiva lett. b) si riferisce a interventi sulle parti comuni degli edifici) stupisce in quanto in altre occasioni – ma sempre in tema di detrazioni fiscali per l’efficientamento energetico e per la messa in sicurezza degli immobili – l’Agenzia ha dato un’interpretazione totalmente opposta, ammettendo al beneficio l’unico proprietario o i comproprietari (in caso di proprietà indivisa) e specificando che essenziale fosse l’accatastamento distinto delle singole unità immobiliari (cfr., tra le altre, la circolare del 31 maggio 2019 n. 13 e, da ultimo, la risposta ad interpello n. 139 del 22.5.2020).
Proprietà esclusiva e divieto di specifica destinazione Non è raro che in assemblea si deliberi, a maggioranza, di vietare, per le proprietà esclusive, specifiche destinazioni (ad esempio: ufficio, laboratorio medico ecc.). Il che, in genere, solleva aspre discussioni tra chi è favorevole ad una decisione di questo tipo e chi, invece, da tale scelta si senta leso. Sulla questione è intervenuta la giurisprudenza secondo cui il divieto, a carico di un condòmino, di dare una determinata destinazione al proprio immobile, traducendosi in una limitazione delle facoltà inerenti al diritto dominicale, non può derivare da una delibera assembleare adottata a maggioranza (che pertanto è nulla), ma presuppone il consenso unanime dei partecipanti alla comunione. E questo indipendente dalla natura contrattuale o assembleare del regolamento di condominio su cui tale delibera vada ad incidere (in tal senso, cfr., ex multis, Cass. sent. n. 12173 dell’14.11.’91 e, più recentemente, Cass. sent. n. 5626 del 18.4.’02). Dunque, solo con il consenso della totalità della compagine condominiale è possibile introdurre legittimamente il divieto di cui trattasi; in difetto, la delibera sarà nulla e, come tale, impugnabile in ogni tempo.
Ruderi raddoppiati rispetto al periodo pre-Imu Aumentano anche nel 2019 le cosiddette “unità collabenti”, vale a dire gli immobili ridotti in ruderi a causa del loro accentuato livello di degrado. Lo segnala Confedilizia, che ha elaborato i dati resi noti dall’Agenzia delle entrate sullo stato del patrimonio immobiliare italiano. Nel 2019, il numero di questi immobili – inquadrati nella categoria catastale F2 – è cresciuto del 2,7% rispetto al 2018. Ma il dato più significativo è quello che mette a confronto il periodo pre e post Imu: rispetto al 2011, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 562.941 (+ 102%). Con tutte le immaginabili conseguenze in termini di degrado delle aree su cui insistono. “Si tratta – rileva Confedilizia – di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che pervengono a condizioni di fatiscenza per il solo trascorrere del tempo o, in molti casi, in conseguenza di atti concreti dei proprietari finalizzati ad evitare almeno il pagamento dell’Imu (ad esempio, attraverso la rimozione del tetto). Va infatti ricordato che sono soggetti alla patrimoniale immobiliare – giunta a un carico di 22 miliardi di euro l’anno – persino i fabbricati ‘inagibili o inabitabili’. Il Governo e il Parlamento dovrebbero riflettere su questi dati e trarre le necessarie conseguenze”. da “Confedilizia Notizie“.