Notevole la coreografia, con le scene create in coproduzione con il Teatro dell’Opera di Malta e i bei costumi ispirati alla Sicilia di fine '800
Il Festival Lirico dei Teatri di Pietra, giunto quest’anno alla sua terza edizione, ha inaugurato la stagione al Teatro greco di Tindari con la rappresentazione de “La cavalleria rusticana”, l’opera più celebre di Pietro Mascagni.
È tradizione, vista la brevità dell’Opera e la sua assonanza tematica, assistere alla rappresentazione di questa splendido e amato capolavoro lirico insieme a “Pagliacci” di Leonvacallo, e i due melodrammi costituiscono il più famoso dittico della storia dell’opera.
Questa volta invece, dopo l’opera di Mascagni, Alfredo Cornacchia, direttore d’orchestra dell’ottima Orchestra Filarmonica della Calabria, ha ceduto la bacchetta a Mario Menicagli, autore di un Sequel dell’opera di Mascagni, ambientato 12 anni dopo, rappresentato nella seconda parte della serata.
Tratta dall’omonima novella di Verga, su libretto di G. Targioni – Tozzetti, “Cavalleria rusticana” vide la sua prima rappresentazione a Roma nel 1890.
La vicenda si svolge in un villaggio della Sicilia, – Vizzini, paese natale di Giovanni Verga – ed è solo apparentemente un dramma della gelosia. Turiddu, al quale era stata promessa in sposa Lola, di ritorno dal servizio militare apprende che quest’ultima è andata in sposa ad Alfio. Turiddu allora si consola con Santuzza, prima seducendola ma poi trascurandola. Santuzza allora, innamorata ed in preda al dolore, rivela ad Alfio il tradimento di Lola con Turiddu. Durante una bevuta con gli amici all’osteria della madre di Turiddu, Lucia, dopo la messa di celebrazione della Pasqua, Alfio sfida Turiddu al duello mortale. Turiddu raccomanda alla madre di prendersi cura di Santuzza ed esce di scena. Subito dopo il tragico epilogo: una voce del popolo urla “Hanno ammazzato compare Turiddu”.
La Cavalleria rappresenta l’emblema del verismo in musica, tutti i personaggi sono dei vinti, Alfio, che uccide un amico non certo per gelosia, ma perché è quello che da lui ci si aspetta in una civiltà arcaica, ancestrale, dove tutti sembrano muoversi secondo volontà non proprie ma manovrati da un fato ineluttabile; Turiddu, che muore per un tradimento non commesso, e raccomanda Santuzza alla madre, per senso del dovere, pur non amandola; Santuzza stessa, che, accecata dal dolore per l’amore infedele, provocherà la morte del suo amato, e vivrà col rimorso per tale nefandezza.
Il capolavoro di Mascagni è soprattutto un dramma corale, che ricorda la tragedia greca, non sono i singoli ma l’insieme a condurre l’opera, e grande protagonista, oltre la musica, è proprio il coro.
Infatti il melodramma non spicca tanto per le singole arie, quanto per gli affreschi imponenti e drammatici, si pensi alla processione della Pasqua, ove il coro, con lo splendido “Inneggiamo, il Signor non è morto”, ci regala uno dei momenti più toccanti dell’opera, o la scena del brindisi “Viva il vino spumeggiante” cantata da Turiddu accompagnato ancora dal coro. Un’altra grandissima protagonista è ovviamente la musica, già dal suo dolcissimo e lungo preludio, ma soprattutto nel memorabile Intermezzo, un brano intenso e struggente, quasi un tenero e partecipato commento del musicista alla tragedia che sta per compiersi.
Protagonista principale è senza dubbio Santuzza, per l’occasione la cantante Patrizia Patelmo, autrice di una interpretazione passionale e drammatica. Meno convincente Piero Giuliacci, nelle vesti di Turiddu, non tanto per la voce ma per l’interpretazione un po’ statica e incolore. La voce è invece un po’ mancata a Omar Camata, (ma cantare in teatri all’aperto non è mai semplice), la cui interpretazione, al contrario, è sembrata ben appropriata per il personaggio di Alfio. Bene Leonora Ilieva – Lola -mentre La madre di Turiddu, Lucia, interpretata da Giorgia Gazzola, avrebbe dovuto essere ben più “sofferta”.
Ottimo il Coro Lirico Siciliano, diretto da Francesco Costa, che ha eseguito in maniera eccellente gli impegnativi ed importanti brani ad esso destinati, e convincente la prova dell’Orchestra Filarmonica della Calabria, diretta con precisione e con la giusta sensibilità che il melodramma di Mascagni richiede, molto applaudita in occasione del celebre Intermezzo.
Notevole anche la coreografia, con le scene create in coproduzione con il Teatro dell’Opera di Malta e i bei costumi ispirati alla Sicilia di fine ‘800.
Nel “CAVALLERIA’S SEQUEL”, – titolo, già di per sé discutibile, della rappresentazione, andata in scena nella seconda parte della serata – ritroviamo i personaggi dell’opera 12 anni dopo, oltre altri personaggi, come Turidduzzu, figlio di Santuzza e Turiddu. Alfio, uscito di prigione, chiede perdono per il male fatto, Lola si redime, si riconcilia con Santuzza e la madre di Turiddu, e, con un rutilante e gioioso finale, tutti i tasselli tornano al loro posto, come in una moderna commedia americana. Le musiche proseguono nel solco melodico della “Cavalleria”, anche qui troviamo la cerimonia religiosa, l’intermezzo sinfonico.
Una sorta di divertimento, niente di più, ove è totalmente assente il cupo pessimismo verista, la tematica dei vinti, l’ineluttabilità delle scelte umane.
Francamente avremmo preferito mille volte, come da tradizione, la rappresentazione di “Pagliacci”, altra opera meravigliosa, accomunata al capolavoro di Mascagni dal tragico, ineluttabile destino dell’uomo, e non sorprende che buona parte del pubblico, durante il Sequel, abbia abbandonato il Teatro.
non a voler criticare…….ma meritiamo di meglio, fra interpretazioni e scene, Scusate,,,,