Il discorso di fine anno del capo dello Stato nell'analisi del costituzionalista cattolico Alberto Randazzo
di Alberto Randazzo, professore associato di Istituzioni di diritto pubblico (UniMe) e presidente dell’Azione cattolica di Messina
Premessa
Come sempre, il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato molto intenso e ha offerto (ed offre) molti spunti di riflessione. Sono state toccate tutte le questioni più urgenti e rilevanti, per il nostro Paese, nel tempo che viviamo.
In questa occasione, desidero soffermare l’attenzione su un profilo in particolare: il richiamo all’impegno, che è stato un fil rouge dell’intero discorso.
Alcuni passaggi del messaggio di fine anno e qualche considerazione in merito.
Il presidente ci ha chiesto di saper “tradurre in realtà” la “speranza nel futuro” che ognuno di noi, mentre si chiude un anno e se ne apre un altro, porta nel cuore. È naturale sperare in un tempo migliore di quello che si è trascorso; tuttavia, l’attuazione delle proprie speranze non può essere semplicemente demandata ad altri (che pure, a volte, molto possono fare al riguardo), ma richiede un ‘mettersi all’opera’ perché ciò che di buono si immagina per sé e per la società possa inverarsi.
La critica e la lamentela non bastano, serve un’azione individuale e collettiva
Occorre infatti convincersi che i cambiamenti sono possibili e possono dipendere anche dal contributo che ciascuno di noi può offrire.
È necessario che alla critica per le cose che non vanno e alla lamentela che spesso connotano il nostro parlare si accompagni (o, meglio, si sostituisca) l’azione individuale e collettiva.
Discorrendo del dramma delle morti sul lavoro, il capo dello Stato ha affermato che “non possono più bastare parole di sdegno: occorre agire, con responsabilità e severità”. Queste parole possono intendersi riferite non solo all’ambito ora richiamato, ma a tutti i settori della vita sociale.
Opportuno e significativo è stato il tornare più volte sul tema della speranza che, peraltro, è il tema del Giubileo che la Chiesa celebra nell’anno che si è appena avviato.
Non a caso, alla fine del messaggio, il presidente della Repubblica, ha osservato che “la speranza non può tradursi soltanto in attesa inoperosa” e ha aggiunto: “La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte”.
La “speranza collettiva che insieme vogliamo costruire” passa dall’operato di coloro che si spendono per il bene comune, come ha osservato la più alta carica dello Stato. Come ha rilevato Mattarella, è la “trama di sentimenti, di valori, di tensione ideale quel che tiene assieme le nostre comunità”, favorendo quindi la coesione sociale. Per tutto questo, però, è necessario riconoscere che “siamo tutti chiamati ad agire, rifuggendo da egoismo, rassegnazione o indifferenza”.
L’importanza di uscire dalla logica dell’io e l’articolo 3 della Costituzione
In estrema sintesi, il capo dello Stato esorta tutti ad uscire da sé stessi, per abbandonare la logica dell’‘io’ e assumere quella del ‘noi’, che invero appare ‘fuori moda’ in un’epoca – come quella che viviamo – segnata da forte individualismo.
Il presidente ci ha poi ricordato che “è il nostro compito” (evidentemente, riferendosi a tutti) “assicurare un’effettiva pienezza di diritti”, espressione – quest’ultima – che richiama alla mente il dettato dell’articolo 3 della Costituzione. La suddetta “effettiva pienezza”, mi pare opportuno aggiungere, passa infatti dalla rimozione dei numerosi e rilevanti “ostacoli di ordine e economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, e sociale del Paese”.
A questo, com’è noto, è certamente chiamata la Repubblica, ma quest’ultima non può essere considerata solo come il complesso degli enti territoriali (ex art. 114 Cost.). Infatti, come ha osservato Mattarella nel messaggio di fine anno del 2022, “la Repubblica siamo tutti noi. Insieme” ed essa “vive della partecipazione di tutti”.
Partecipazione e solidarietà
A tal proposito, non si può fare a meno di rilevare che la partecipazione, che è strettamente connessa all’adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà” (art. 2 Cost.), com’è noto, costituisce un importante valore costituzionale sul quale si regge la democrazia. Sergio Mattarella ricorda, infatti, che i valori di “libertà, democrazia, dedizione all’Italia, dignità di ciascuno, lavoro, giustizia […] animano la vita del nostro Paese, le attese delle persone, le nostre comunità” e “si esprimono e si ricompongono attraverso l’ampia partecipazione dei cittadini al voto, che rafforza la democrazia”.
Parlando, poi, dei giovani, il capo dello Stato ha richiamato tutti all’ascolto del “loro disagio”, al fine “di dare risposte concrete alle loro esigenze, alle loro aspirazioni”. L’ascolto, come si sa, non è un passivo sentire, ma è un atteggiamento attivo di prossimità e di empatia.
Significativamente, il presidente ha poi sottolineato come “il rispetto verso gli altri rappresenti il primo passo per una società più accogliente, più rassicurante, più capace di umanità”. Com’è chiaro, anche questo è un evidente richiamo all’impegno, se si considera che il rispetto nei confronti del prossimo nasce da un atto di volontà che deve tradursi in un concreto atteggiamento con il quale ci si accosta a chi si incontra sulla propria strada.
“I detenuti possano respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti all’illegalità”
Assai importante è anche l’esortazione a sostenere coloro che generosamente operano, all’interno del carcere, perché i “detenuti [possano] respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”.
È poi assai rilevante la lezione impartita dal capo dello Stato sul concetto di patriottismo (che – mi sia consentito dire – non ha nulla a che vedere con quello di sovranismo), rilevando, tra le altre cose, che è da considerare tale quello di coloro che, pur non essendo nati in Italia, amano il nostro Paese e in esso operano “fa[cendo] propri i valori costituzionali”. Essi, evidentemente, sono un esempio al quale guardare con rispetto e riconoscenza (è questo, a me pare, l’invito implicito di Mattarella).
Infine, il presidente ci ricorda che “siamo chiamati a consolidare e sviluppare le ragioni poste dalla Costituzione alla base della comunità nazionale” e aggiunge che questa è “un’impresa che si trasmette da una generazione all’altra”. È chiaro che ‘consolidare’, ‘sviluppare’ e ‘trasmettere’ sono verbi che richiedono, ancora una volta, un atteggiamento attivo da parte nostra, non certo quello di meri ‘spettatori’.
Conclusioni
Da quanto detto e al di là delle molte altre considerazioni che si potrebbero fare sui passaggi sopra riportati e sugli altri non richiamati, appare chiaro come al presidente della Repubblica stia a cuore l’impegno di tutti i cittadini, in senso di corresponsabilità per il presente e per l’avvenire dell’Italia. Perché ciò si realizzi è però necessario che ognuno di noi si senta “parte di un tutto” (per richiamare Calamandrei), avverta quella comune appartenenza che – per dirla con Gaber – è “sentire gli altri dentro di sé”. Questo è uno degli auspici che si possono esprimere per il nuovo anno perché la nostra possa essere una vera comunità.
Sappiamo che, come osservò La Pira in Assemblea costituente, “lo Stato per la persona e non la persona per lo Stato” è “la premessa ineliminabile di uno Stato essenzialmente democratico”, ma è altrettanto valida la nota affermazione pronunciata da J.F. Kennedy, nel discorso di insediamento, quando disse ai cittadini: “Non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”.
Si innesca, così, un circolo virtuoso nel quale lo Stato si pone al servizio della persona, che è il ‘fulcro’ su cui si regge l’intera ‘impalcatura’ costituzionale, ma la persona (e, in particolare, ogni cittadino) si adopera per offrire il proprio contributo per la costruzione del bene comune.
D’altra parte, per richiamare ancora Calamandrei, la Costituzione è “un pezzo di carta” che se si lascia cadere non si muove, “perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”.
In poche parole, “bisogna metter mano all’aratro”, come molto tempo addietro disse La Pira.
Ora, come allora, è il tempo di farlo.
Alberto Randazzo
Foto del presidente Mattarella dall’ufficio stampa Quirinale (Italpress).
Se tutti quelli che l’hanno ascoltato o che abbiano letto adesso il messaggio di fine anno del Presidente Mattarella ,mettessero in atto ciò che ci esorta a fare ,ci sarebbe davvero la RINASCITA E IL CAMBIAMENTO PER UN MONDO DAVVERO MIGLIORE PER TUTTI!!!!