Sulla rotta della decima musa: presentato alla 71a edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il film è tratto dall'omonimo romanzo di Gioacchino Criaco. Impressioni a cura di Tosi Siragusa.
Una delle più rilevanti presenze filmiche veneziana è stata “Anime nere”, opera terza di Francesco Munzi, di sicuro genere drammatico, con Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Anna Ferruzzo, Giuseppe Fumo e Aurora Quattrocchi, storia di antiche faide familiari, di vendette nascenti da arcaici legami di sangue, in una dimensione sospesa fra l’antico e il moderno e dell’ancestrale potere della ‘ndrangheta nell’Aspromonte. Il rapporto, reso con lirico realismo, fra tre fratelli, figli di pastori della Locride, nativi di Africo, esplode quando Leo, il figlio di uno di loro, cerca di guadagnarsi un posto al sole con impudenza e stupidità… i tre fratelli si riuniranno nel Paese natale, tra le selvagge montagne dell’Aspromonte. Uno di loro è sempre rimasto lì, gli altri due sono migrati al Nord, riuscendo a trovare successo e denaro, chi (in apparenza) legittimamente, chi meno.
Il finale è nerissimo – il passato quasi tribale riemerge violentemente – ma capace di generare redenzione in una terra così lontana dal potere centrale. Barbara Bobulova è la moglie milanese di Rocco e non comprende quel Sud intriso di misteri e riti strani. Il lungometraggio, tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco – grande scrittura in forma di tragedia – ha riscosso a Venezia il consenso della critica e 13 minuti di applausi e ha avuto discreto successo anche in sala a Messina. L’opera, sicuramente di complessa preparazione, è stata paragonata a “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti, ma anche ai film Rossellini e allo Scorsese di “Mean Streets”, come anche al “Padrino” di Coppola, candidandosi essa stessa a divenire la nuova “Gomorra”.
Un lavoro di egregia resa, anche attoriale, dal potente affondo, che può definirsi un viaggio fra le macerie di una terra perduta. Il regista non ha inteso fare un film di denuncia, lasciando che a parlare siano i luoghi ed i personaggi… la storia stessa, cioè, che procede verso la finale catastrofe.
Il racconto della realtà è già filmico… al di là della scontata iconografia malavitosa, con tutte le contraddizioni e le deformazioni di quel lembo estremo di terra.
Tosi Siragusa