Dopo Miracolo a Le Havre, il regista finlandese racconta un’altra storia sulla triste attualità degli immigrati clandestini. Tra la vita silenziosa passata nell’attesa del domani e la scoperta di una quotidianità senza guerra, c’è solo la speranza
Un uomo giovane ed uno già avanti nell’età compiono dei difficili passi nella speranza di dare una svolta alla propria vita, e si trovano inaspettatamente a confrontarsi, partendo con uno scambio di cazzotti.
Khaled Ali (Sherwan Haji) scappa da Aleppo, dove un missile ha distrutto la sua casa e la sua famiglia; ha attraversato le frontiere e per puro caso si è ritrovato su una nave che sbarca in Finlandia. Durante il tragitto, passando per l’Ungheria perde la sorella Miriam, e non riesce a darsi pace, sentendo nel suo cuore che ella è ancora viva.
Waldemar Wikstrom (Sakari Kuosmanen) è un rappresentante di camicie che dopo aver lasciato casa e moglie, con grande decisione compra un ristorante e riparte da zero, dimostrando una certa vena per gli affari. Nel ristorante, La pinta d’oro, trova già tre lavoranti, decisamente scontenti della precedente fallimentare gestione del locale. Waldemar si rende subito conto che andando avanti a patate bollite, aringhe sott’olio e polpette (che tristezza…) non si può andare avanti, e cerca di attrarre nuovi clienti proponendo cucine esotiche.
Khaled chiede asilo politico e viene ospitato in un centro di accoglienza, dove, proprio come lui, in moltissimi scappano da tristi realtà. “Non devi apparire triste”, gli consiglia un amico, “quelli tristi li rimandano subito a casa. Sorridi, resta attaccato alla vita”. Purtroppo però gli viene negato l’asilo politico perché, come gli vien detto in tribunale, secondo le leggi vigenti, ad Aleppo la situazione non è considerata così pericolosa come sembra. Deve tornare a casa. Ma quale casa? Non vi è nessuna casa, almeno senza Miriam, ancora dispersa.
Khaled scappa e, non senza difficoltà, incontra per sua fortuna Waldemar. Qui inizia la nostra storia, la storia della speranza, del cambiamento, per quanto difficile o grottesco. Khaled è un clandestino, va tenuto nascosto ai controlli sanitari come il cagnolino dei camerieri, come i posacenere negli ambienti che dovrebbero essere no smoking, come il cibo non troppo fresco.
“Morire è facile, ma io voglio vivere”, non è sbagliato essere attaccati alla vita e Kaurismaki lo sa, per quanto possa essere difficile e solitaria, per quanto sia difficile esprimere i propri sentimenti, se non con gli occhi. Gli occhi sono la parte più espressiva del volto, e parlano più della bocca.
Aki Kaurismaki ha vinto l’Orso d’argento a Berlino quest’anno per L’altro volto della speranza, il suo secondo film che tratta di accoglienza e di confronto con l’Altro. La sua Finlandia sembra ancora rimasta agli anni ’90, i suoi luoghi ci raccontano di persone che parlano davvero poco, ma che invece amano cantare. La solitudine e i personaggi borderline sono una caratteristica dei suoi film, purtroppo poco conosciuti in Italia.
Voto: 7/10.
Lavinia Consolato