Il Dams di Messina trascina il pubblico nel mondo del grande autore messinese
Un viaggio nel mondo darrighiano, riletto in maniera inedita, tra il potere evocativo e trascinante di parole, immagini, musiche e coreografie che si intrecciano, si abbracciano e completano in una danza eterea.
Questo è “Cinque stanze per Stefano D’Arrigo”. Lavoro nato dalla partitura scenica di Dario Tomasello, realizzato con le allieve del Dams di Messina: Mariarita Andronaco, Federica Giglia, Aurora Grasso, Giada Minissale, Giulia Tringali. E la partecipazione amichevole di Gaspare Balsamo.
Cinque stanze per Stefano D’Arrigo
Nella suggestiva cornice della terrazza del Parco Horcynus Orca, il pubblico è stato trascinato in un percorso in bilico perenne tra immaginazione e realtà, di cui il protagonista è proprio Stefano D’Arrigo (interpretato da Tomasello). È D’Arrigo a farsi Ulisse nel mondo da lui creato, in un viaggio tra cinque stanze diverse, spezzoni della sua esistenza che aprono allo spettatore un sguardo ogni volta nuovo e più profondo sul grande scrittore messinese, sul suo capolavoro l’Horcynus Orca e sul suo pensare così intricato. Si parte dalla quotidianità della sua vita con la moglie Jutta, per arrivare alla grandezza, tormentata e incerta, del suo immaginare, che lo pone a confronto con le figure da lui stesso create, da Jacoma a Ciccina Circè.
Il mare
Casa, meta e paradigma di questo percorso è il mare. Lo spettacolo, infatti, entra anche all’interno del progetto “Sea in Shell”, per la Notte Europea dei Ricercatori, iniziativa promossa dalla Commissione Europea. L’evento ha lo scopo di mostrare tutte le attività di ricerca legate al mare svolte presso l’Ateneo.
A raccontare il mare, qui, è il cunto siciliano di Gaspare Balsamo, che impreziosisce la rappresentazione con la sua arte. Il monologo iniziale di Balsamo introduce e contestualizza lo spettacolo all’interno di una cornice immaginifica e sognante, nella quale il mare si mostra come il grande nostos, mentale e fisico dello scrittore e del suo lavoro, con i suoi suoni, le sue onde, le sue sirene.
L’ispirazione come filo rosso
L’attenta partitura scenica si compone di dialoghi originali, come quello tra D’Arrigo e Jutta (Federica Giglia), e del riadattamento di brani tratti dall’Horcynus Orca, come quello dell’incontro sensuale con Jacoma (Mariarita Andronaco) che vuole vendere allo scrittore le sue femminote (Aurora Grasso e Giulia Tringali) e quello drammatico con Ciccina Circè (Giada Minissale) che racconta il dolore di una madre che sa già di dare alla luce un figlio il cui destino è la morte.
L’opera trasfigura la magia dell’Horcynus e permette allo spettatore di immergersi nell’ispirazione dello scrittore, sempre contorta, angosciata e incerta, di conoscerla, cercare di afferrarla nella sua intangibilità e di sentirsene parte. Il grande filo conduttore, il file rouge di questo percorso tra reale e immaginario, quotidianità concreta di D’Arrigo uomo e finzione fantastica di D’Arrigo autore, è proprio l’ispirazione.
Lo spettacolo diventa allegoria dell’ispirazione darrighiana, del processo creativo all’interno della sua mente, motivato sia dalla concretezza della vita reale (la presenza della moglie e la presente assenza della madre, così pensante e determinante, rievocata dall’incontro con Ciccina Circè), sia dall’illusorietà della sua fantasia (abitata da figure incredibili, centro di un così ricco repertorio mitografico).
La danza e la musica
A suggellare tutta la narrazione sono le coreografie realizzate dalle allieve (Aurora Grasso, Giada Minissale, Giulia Tringali) capaci di parlare un altro linguaggio, quello del corpo, che si aggiunge al linguaggio visivo. Un esempio sono i due grandi temi della vita e della morte, onnipresenti nell’opera darrighiana, la cui lotta è mostrata sin dalla prima coreografia, per poi riproporsi sempre, fino alla fine, con il monologo di Ciccina. Alleata alla danza, la puntuale scelta musicale che rievoca le atmosfere e le emozioni del racconto (alla regia audio Roberto Pappalardo), i suoni della nostra terra, i ritmi forti come quello di “Fimmine” di Ludovico Einaudi, e quelli più dolci, come “Go to sleep little baby” intonato da Giulia Tringali.
Un incontro vincente di forme artistiche che avvalorano il pregio della storia e le donano, ancora di più, una nuova, e rispettosamente provocatoria, contemporaneità.
Il finale cattafiano
D’Arrigo, naufrago della sua storia, e noi con lui, naufraghi tra le onde del suo mare e dei suoi agitati pensieri, giungiamo al termine della narrazione, la cui chiosa è affidata alle parole di un altro grande messinese: Bartolo Cattafi. Ripetendo in coro le parole di Cattafi dedicate alla sua Messina, quella “quasi elvetica Mediterranea”, “ricca grassa e seduta nel posto giusto”; tutti i personaggi, reali e immaginari, chiudono D’Arrigo in un cerchio dal quale non riesce a trovare scampo nè riparo. È l’ora dei conti, i conti con il suo pensare, con la sua tormentata immaginazione e la sua costante indecisione che lo portarono a lavorare per più di vent’anni all’Horcynus Orca.
La messa in scena del Dams ci lascia, così, dinanzi ad uno Stefano D’Arrigo che si dona a chi assiste in tutta la sua straordinaria umanità.