Un monologo intenso su un personaggio, Edmund Kean, con personalità dalle mille sfaccettature, che aveva perseguito, sin dal suo precoce debutto, una missione, pervaso per davvero e intensamente dal sacro fuoco dell’arte teatrale, che aveva implicato per lui una esistenza non convenzionale, ma segnata dai ritmi che la quotidianità gli aveva imposto comunque, in ossequio alle regole sociali, per incanalarlo entro i consueti meccanismi rituali. Essere riuscito, pur se a duro prezzo, e passando per una dura gavetta decennale costellata da uno stato di indigenza perdurante (condivisa con la moglie e i figli) e da sfinenti rifiuti, a non demordere, tenendo alta l’asticella delle proprie giuste ambizioni, e a non lasciarsi stritolare dai ruoli esistenziali prestabiliti che gli era stato chiesto di impersonare per corrispondere ai requisiti di “giustezza sociale”, era stato il suo oneroso e onorevole percorso di vita. Una riflessione: se ciò è tristemente vero per la maggioranza degli artisti, ancora ai nostri tempi, pensiamo agli oneri imposti a chi, di sesso femminile, voglia abbracciare propositi artistici – oggi come, di certo, molto di più ieri – e torna in mente a tal proposito il saggio “Una stanza tutta per sé” della somma Virginia Woolf, ove sono svolti proprio ragionamenti di tal fatta. Alessio Bonaffini è stato il valente autore di questa rielaborazione di un testo di Raymund FitzSimons,che è parsa fluida -pur se ha insistito forse troppo sulla parte precedente l’apice del successo di Kean al teatro Drury Lane, sulla vituperata sua resa di Arlecchino- ed ha altresì seguito in modo ottimale il percorso registico: la sua recitazione, infatti, è riuscita a librarsi del tutto sulle corde del grande Kean, a rendere le tensioni, le aspirazioni, gli eccessi e le sregolatezze della sua condotta, la sua completa e totale consacrazione a quell’Universo surreale(notevoli i richiami a testi e personaggi shakespeariani). Molto apprezzabile è stata dunque la sua prova attoriale, davvero ardita, e già aver scelto di cimentarsi in tale ruolo e reputabile in sé quale indicativo delle sue profonde inclinazioni di interprete; sicuramente nel tempo Bonaffini saprà affinare sempre più la resa del complesso ruolo, che potrebbe rivelarsi il suo cavallo di battaglia. Dal canto suo la giovane regista messinese, Adriana Mangano, già in questa sua prima prova di direzione ha colto nel segno ed encomiabile è stato da parte sua l’aver perseguito l’ambizione di dirigere una performance di tal fatta, tutta giocata sui difficili contrasti fra la tensione per il raggiungimento degli obiettivi alti, ai quali l’artista si credeva, a ragione, predestinato, e le doverose azioni che quotidianamente incombevano su di lui, con le fatiche e i sacrifici insiti. Per il resto, le scene minimaliste – con due sedie, una bastoniera, tanti libri in terra, bottiglie di alcolici, abiti di scena e accessori – e le musiche – mai invadenti, ma giustamente a supporto della recitazione – hanno poi completato, unitamente ai costumi ben in tema di Liliana Pispisa, una “piece” complessivamente di ottima resa, che gli spettatori, come sempre assai numerosi, pur essendosi domenica 13 alla terza replica, hanno mostrato con applausi scroscianti e ovazioni, di aver davvero apprezzato.
“Kean”. Gradito ritorno di uno spettacolo che, nel 2018, aveva molto colpito
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lunedì 14 Gennaio 2019 - 21:34
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