Entrano nel vivo le iniziative dedicate al giudice Giovanni Falcone ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992 nella la strage di Capaci in cui, oltre al magistrato, persero la vita la moglie e gli uomini della scorta.
L’iniziativa, “La memoria in marcia”, organizzata dall’associazione omonima, presieduta da Tina Montinaro, moglie di Antonio Montinaro, caposcorta del magistrato, e dalla Polizia di Stato, è partita ieri da Peschiera del Garda. La moglie di uno degli uomini della scorta del giudice Falcone, inseime alla Polizia di Stato, girerà l'Italia per mostrare la teca che conserva i resti dell'auto del magistrato.
Le tappe della manifstazione saranno: Sarzana (SP), Pistoia, Riccione, Monte San Giusto (Macerata), Napoli, Vibo Valentia e Locri (RC), per giungere alla caserma Lungaro di Palermo il 21 maggio, pochi giorni prima del 25esimo anniversario della strage di Capaci. L'auto adesso è ridotta a un cumulo di rottami, simbolo oggi della brutalità della mafia, che con 400 Kg di esplosivo, in quel lontano 23 maggio 1992, fece saltare non soltanto le auto del magistrato e della scorta, ma anche l'autostrada all'altezza di Capaci, provocando una voragine enorme.
Tina Moninari, moglie di uno degli uomini ella scota che quel giorno perse la vita, in occasione di questa iniziativa ha affermato che " Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro non volevano essere eroi, non sfoggiavano il completo da Superman, erano uomini con paure come tutti ma mai vigliacchi. Scortavano un uomo che stimavano e per il quale come è accaduto, erano pronti a dare la propria vita".
L'uccisione di Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni delle "Commissioni" regionali e provinciali di Cosa Nostra, in seguito alla sentenza della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso (30 gennaio 1992), la "Commissione provinciale" di Cosa Nostra decise di dare inizio agli attentati: per queste ragioni, nel febbraio 1992 venne inviato a Roma un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani (Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella, Francesco Geraci), che avrebbero dovuto uccidere Falcone, Martelli o in alternativa Costanzo, facendo uso di Kalašnikov, fucili e revolver; qualche tempo dopo però Riina fece tornare il gruppo di fuoco perché voleva che l'attentato a Falcone fosse eseguito in Sicilia adoperando l'esplosivo.