Con Federico Pische ritornano i concerti per pianoforte alla Sala Laudamo

Con Federico Pische ritornano i concerti per pianoforte alla Sala Laudamo

Giovanni Francio

Con Federico Pische ritornano i concerti per pianoforte alla Sala Laudamo

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domenica 29 Ottobre 2023 - 09:47

Il giovane pianista ha eseguito due fra le più importanti Sonate di Schubert e Beethoven, e i celeberrimi “Studi sinfonici” op 13 di Schumann

MESSINA – L’associazione musicale V. Bellini ha scelto anche per questa stagione la splendida location della Sala Laudamo, restituita fortunatamente alla città, dedicando al pianoforte ben 5 i concerti del venerdì, mentre l’anno scorso aveva dedicato la Sala alla musica barocca.

Venerdì scorso si è esibito nella storica sala, della quale non mi stancherò mai di elogiarne l’acustica, oltre che la bellezza, il giovane pianista Federico Pische, che ha offerto un programma assai ambizioso.

Il pianista ha iniziato la sua performance con la Sonata in La minore D. 784 di Franz Schubert.

Composta nel 1823, durante uno dei periodi più difficili del compositore austriaco, per il manifestarsi in maniera evidente della malattia che lo accompagnerà fino alla morte, la Sonata riflette pienamente questo stato d’animo, è intrisa di un cupo pessimismo, sicuramente la più tragica e desolata di tutte le sonate di Schubert. Il primo movimento è di una staticità impressionante, intrisa di grande intensità e angoscia; il movimento si fa più mosso con l’ingresso di un secondo tema breve ma straordinario, tipicamente schubertiano, definito da Einstein “paradisiaco”, ma si tratta come spesso in Schubert, di un paradiso perduto. La statica e desolata fissità del movimento riprende quindi il sopravvento. Dopo un Andante dallo stesso carattere cupo, ecco il Finale, con due temi principali, una serie di terzine veloci, quasi un moto perpetuo, che lasciano il passo ad un motivo, ancora tipicamente schubertiano, di commovente tristezza, ma il brano si conclude in maniera brusca, pessimistica come l’intera Sonata.

È stata poi la volta della Sonata op. 110, la penultima delle 32 sonate di Beethoven. Questo capolavoro rappresenta un po’ la seconda semplicità del grande musicista tedesco, che ormai domina alla perfezione la forma, e può permettersi di lasciarsi andare, in particolare nel primo movimento, ad una leggiadra e meravigliosa melodia “Moderato cantabile, molto espressivo”, un canto limpido e purissimo, senza grandi contrasti. Dopo un “Allegro molto”, uno Scherzo dal carattere impetuoso e brillante, ecco il misterioso recitativo “Adagio, ma non troppo”, che culmina in una ripetizione di una nota (la) per quindici volte, che introduce un canto triste e rassegnato – “Arioso dolente” – una delle melodie più intense e sofferte create da Beethoven, che ci fa sprofondare nell’abisso dell’animo, per poi risorgere però nella straordinaria Fuga finale “Allegro ma non troppo”, ove la forza della ragione trionfa sull’oscurità delle passioni, anche se per un momento, commovente e di eccezionale suggestione e intensità, il lamento dell’Arioso ricompare, per cedere infine il passo al sicuro incedere in contrappunto della fuga.

Pische ha concluso il concerto eseguendo gli “Studi Sinfonici op. 13”, uno dei massimi capolavori di Robert Schumann e dell’intera letteratura del pianoforte romantico.

Si tratta di nove variazioni su un tema di un flautista dilettante – il barone Von Fricken – due studi liberi e un finale, a sua volta tratto da un tema di un’opera di Marschner, “Il templare e l’ebrea”. In realtà due anni prima della definitiva pubblicazione Schumann eliminò cinque variazioni, aggiungendone otto nuove, e così furono pubblicati i dodici studi sinfonici. Successivamente Brahms, suo amico e allievo, reinserì, come “postume”, le cinque variazioni eliminate da Schumann, che però non sono state eseguite dal pianista. Schumann eleva al più alto grado l’arte della variazione, sulla scia dell’ultimo Beethoven, ed i singoli studi sono rappresentativi di tutta la sua poetica musicale: troviamo momenti misteriosi ed inquietanti, come la prima variazione, altri impetuosi e brillanti, alcuni ricchi di pathos, come la seconda, l’ottava e l’undicesima, pagine fra le più intense e riuscite del musicista tedesco, che esprimono una liricità appassionata, quasi patetica (Variazioni Patetiche era infatti il titolo originario dato a questo capolavoro). L’ultima variazione, la più celebre., ha un carattere marziale e cavalleresco, e conclude trionfalmente la composizione.

L’esecuzione di Federico Pische è apparsa molto sentita, sofferta, in particolare nella Sonata di Schubert. Il pianista ha accentuato i contrasti fra piano e forte, forse talora esagerando un po’ nell’eseguire i “fortissimo”, ma l’interpretazione è risultata comunque coinvolgente. Eccellente l’esecuzione della grande fuga dell’op. 110, con i temi messi sempre bene in risalto.

Entusiastici applausi del numeroso pubblico, al quale Pische ha offerto un prezioso bis: lo Studio n. 8 op. 10 di Chopin.

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