La rubrica a cura di Confedilizia Messina
A cura di Confedilizia Messina
Le imposte sulla proprietà precipitano l’Italia al penultimo posto nella classifica della competitività del sistema fiscale
È impietoso per l’Italia il quadro che esce dall’ultimo report della Tax Foundation, celebre Think tank statunitense che da tempo monitora le politiche fiscali e di spesa dei governi e che ogni anno compila una classifica dei Paesi Ocse (quelli più avanzati) più competitivi dal punto di vista della tassazione.
Secondo i dati del 2023 il nostro Paese è penultimo,ovvero al 37esimo posto su 38, come nel 2022, del resto, con un punteggio che è solo il 48,4% del valore massimo (100%), quello dell’Estonia, che ha mantenuto la prima posizione.
Solo la Colombia, da pochissimo promossa a membro dell’Ocse, fa peggio di noi, mentre veniamo preceduti anche dalla Francia, nota per essere tra i Paesi con le imposte più alte del mondo. Tra i migliori, dopo l’Estonia, c’è la Lettonia, poi la Nuova Zelanda, la Svizzera, la Repubblica Ceca e il Lussemburgo.
Ma cosa produce questo risultato disastroso per l’Italia?
Dove veniamo superati dagli altri Paesi e dove facciamo meno peggio
La graduatoria di Tax Foundation esamina quattro macro-tipologie di imposte, quelle sulle imprese, sui redditi individuali, sui consumi e sulla proprietà, più la regolamentazione sulle questioni fiscali transfrontaliere.
Ebbene, l’ambito in cui facciamo meglio è quello delle tasse sulle persone fisiche, siamo al 16esimo posto, quindi addirittura nella metà più alta della classifica, e ciò è dovuto non tanto al valore delle aliquote, ma alla ridotta complessità di queste imposte. Peggio va sul versante della tassazione delle imprese, in cui la 21esima posizione è
invece dovuta a un’eccessiva complicatezza, e di quella transfrontaliera, che riguarda, per esempio, la presenza di esenzioni dei dividendi guadagnati all’estero. Su questo versante siamo 24esimi su 38.
I dati più negativi provengono dalle imposte sul consumo, come l’Iva, e, soprattutto, da quelle sulla proprietà. Nel primo caso con il penultimo posto scontiamo in particolare una base imponibile ridotta e diseguale, che produce distorsioni e costringe ad aliquote alte su alcuni prodotti. Ma peggio fa la tassazione sulla proprietà perché è qui che siamo esattamente all’ultimo posto, 38 esimi su 38.
Perché abbiamo la peggiore tassazione della proprietà
Uno dei motivi è che gli analisti di Washington ritengono che siamo tra i peggiori per quanto riguarda le imposte su terreni ed edifici: non solo lo Stato italiano tassa sia il terreno sia la casa o l’edificio/capannone dell’azienda costruiti sopra (mentre i più virtuosi come Estonia e Australia si limitano a tassare solo il terreno) ma soprattutto siamo tra i soli sei Paesi in cui la tassa sulla proprietà non può essere dedotta da altre imposte, come per esempio, quelle sui profitti di impresa.
Poi c’è l’aspetto qualitativo, cioè che riguarda la complessità delle tasse che, come sappiamo, influenza i possibili investimenti quanto e più dell’importo delle imposte da pagare. La Tax Foundation rimprovera alla Pubblica amministrazione italiana di avere adottato un sistema distorsivo che prevede tasse distinte, sia nell’applicazione che nell’ammontare
delle aliquote che nelle regole, le quali cambiano in base ai diversi tipi di asset.
Noi italiani ci siamo ormai abituati, ma non è così comune altrove che ci sia un’imposta sul valore (presunto) della casa completamente distinta da quella sulla compravendita della proprietà, da quella sulle transazioni finanziarie e da quella applicata sugli altri patrimoni, in cui tra l’altro si fanno ulteriori differenze in base alla tipologia di capitale posseduto.
Non è così in altri Paesi, dove la tassazione non è solo uno strumento per fare cassa, ma anche un incentivo a investire e un fattore di sviluppo, sia per le aziende che per i privati cittadini.Istruzioni dell’Agenzia sul bonus “prima casa” per chi ha meno di 36 anni
Con la circolare del 18.6.2024, n. 14/E, l’Agenzia delle entrate fornisce le istruzioni operative per il bonus “prima casa under 36”, vale a dire l’agevolazione per l’acquisto
dell’abitazione da parte delle persone più giovani con Isee non superiore a 40.000 euro, alla luce dell’ultima proroga al 31.12.2024 disposta dal d.l. 30.12.2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla l. 23.2.2024, n. 18 (c.d. decreto “Milleproroghe”), per coloro che abbiano registrato il contratto preliminare entro il 31.12.2023.
Il documento di prassi impartisce inoltre istruzioni sul credito d’imposta riconosciuto a chi ha stipulato prima della proroga e “apre”, sempre per i contratti stipulati nel 2024 entro il 29 febbraio, all’Isee ottenuto successivamente, purché riferito allo stesso nucleo familiare.
Quanto agli atti definitivi stipulati tra l’1.1.2024 e l’entrata in vigore della legge di conversione del “Milleproroghe” (29.2.2024), la circolare ricorda che è riconosciuto un credito d’imposta, utilizzabile nel 2025, d’importo pari alle imposte pagate in eccesso: per beneficiarne, sarà possibile rendere al notaio una dichiarazione, con un atto integrativo, in cui il contribuente manifesta la volontà di avvalersi del beneficio e dichiara di essere in possesso dei requisiti. Questo atto integrativo potrà essere stipulato anche dopo il 31.12.2024, ma ovviamente entro il termine di utilizzo del credito d’imposta.
Per l’accesso al bonus è inoltre necessario avere, al momento del rogito, un valore Isee non superiore a 40.000 euro annui. A questo proposito la circolare specifica
che, per gli atti stipulati prima dell’entrata in vigore della proroga, è possibile dimostrare il rispetto dei requisiti se, anche in data successiva, si è in possesso di un Isee in
corso di validità nel 2024 che fa riferimento allo stesso nucleo familiare in essere alla data di stipula dell’atto.
La circolare fornisce infine istruzioni per beneficiare del credito d’imposta in caso di riacquisto, affrontando il tema con alcuni esempi a seconda che l’atto di acquisto
sia soggetto a imposta di registro o a Iva.
L’Agenzia, infine, ricorda che l’agevolazione prevede diversi vantaggi, che si estendono anche all’acquisto delle pertinenze dell’abitazione principale. In primo
luogo, è prevista l’esenzione dal pagamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale e, in caso di acquisto soggetto a Iva, è riconosciuto un credito d’imposta pari
all’imposta pagata per l’acquisto. Agevolazioni anche per i finanziamenti collegati all’acquisto, alla costruzione e alla ristrutturazione dell’immobile: non è dovuta l’imposta
sostitutiva delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e delle tasse sulle concessioni governative.
Danni all’immobile riconsegnato: chi deve provare le condizioni originarie?
L’art. 1590, comma 2, c.c. statuisce che, in mancanza di una diversa descrizione dello stato della cosa locata al momento della consegna, il bene oggetto di contratto s’intende consegnato in buono stato locatizio.
Pertanto, il conduttore che intenda paralizzare la pretesa risarcitoria della controparte sostenendo che il bene locato gli è pervenuto nelle medesime danneggiate condizioni nelle quali lo ha restituito al locatore alla cessazione del rapporto dovrà, dunque, vincere tale presunzione di originario buono stato fornendo precisa prova di ciò che sostiene.
La delibera di promuovere un giudizio vale anche per le successive impugnazioni?
La delibera condominiale con la quale si autorizza l’amministratore a promuovere un giudizio vale per tutti i gradi del giudizio stesso e conferisce quindi, implicitamente, la facoltà
di proporre ogni genere di impugnazione, compreso il ricorso per Cassazione (cfr. in punto anche la recentissima Cassazione civile sez. III, 02/05/2024, n. 11863).(da Confedilizia Notizie)