Confedilizia Messina. Case, immobili e condominio in pillole

Confedilizia Messina. Case, immobili e condominio in pillole

Autore Esterno

Confedilizia Messina. Case, immobili e condominio in pillole

domenica 04 Agosto 2024 - 15:42

Ecco le novità

La rubrica a cura di Condedilizia Messina

Nel 2023 i canoni di locazione dei negozi sono cresciuti meno dell’inflazione

Immobili non residenziali: nel 2023 i prezzi di vendita e i canoni di locazione sotto l’inflazione

Esattamente come nel caso dei proprietari di abitazioni, anche per quelli di unità immobiliari non residenziali, il 2023 non è stato un anno positivo. I numeri dettagliati dell’Agenzia delle entrate mostrano che, mentre l’inflazione colpiva incessantemente, i tassi di crescita dei prezzi e dei canoni rimanevano un miraggio lontano, per quanti dovevano vendere o locare unità immobiliari.

Cominciamo dalle quotazioni delle compravendite: in media nel 2023 sono cresciute dello 0,6%, quindi ovviamente molto meno dell’inflazione che ha fatto registrare un +5,7%. In 12 regioni sulle 19 esaminate (tutte tranne il Trentino Alto Adige) c’è stato un calo dei prezzi di vendita, in una, l’Abruzzo, non si sono mossi, mentre solo in sei sono saliti.


Crescono le disuguaglianze, corre solo Milano

Il divario territoriale è però stridente soprattutto nel caso dei capoluoghi: in media le quotazioni dei negozi collocati nelle città principali sono salite dello 0,2%, ma in realtà c’è stato un calo ovunque, tranne che in Piemonte e soprattutto in Lombardia, che di fatto da sola ha spostato la media nazionale.

Nei capoluoghi di provincia lombardi i prezzi sono saliti del 7,8%, trainati da Milano, dove l’incremento è stato del 10,6% e si è arrivati a un valore di 4.069 euro al mq, contro una media nazionale di 1.426. È evidente anche in questo caso, forse ancora più che nell’ambito delle abitazioni, una crescita della disuguaglianza tra città e provincia e tra Nord e Sud. A Bari i prezzi sono scesi del 3,7%, a Catania del 3,5% e anche a Roma sono diminuiti del 2,4%. Riduzioni comprese mediamente tra il 2% e il 3% hanno caratterizzato le quotazioni dei locali commerciali dei capoluoghi di Calabria, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna. Anche a Bologna e Venezia, tra le città più forti e vivaci dal punto di vista economico, i valori sono rimasti stabili.

Il dato che distingue maggiormente il mercato delle abitazioni dagli immobili non residenziali è quello che riguarda il numero di compravendite, cresciute del 5,6% nei capoluoghi e del 3,9% nei centri di provincia, ma, come si è visto, vendite e acquisti sono potuti avvenire solo concedendo una riduzione dei prezzi in gran parte delle città.


Tra 2016 e 2023 i canoni di locazione sono cresciuti del 7,1%, l’inflazione del 18,7%

I numeri sugli affitti restituiscono un quadro simile. C’è innanzitutto il dato sul peso dei negozi tra tutte le locazioni di immobili non residenziali: nel 2016 costituivano il 40% del totale, nel 2023 erano scesi al 35%, a dimostrazione della crisi che in particolare i negozi di vicinato, quelli più piccoli, attraversano da molti anni.

Come accaduto nel caso delle compravendite, poi, nel 2023 si è verificano un aumento del numero delle locazioni, cresciute in media del 3,2%, ma solo dell’1,9% nei capoluoghi. Tuttavia i proprietari per poter trovare conduttori hanno dovuto frenare sui canoni che sono cresciuti del 3%, meno dell’inflazione (5,7%). Non è una novità: è da molto tempo che i canoni non tengono il passo dei prezzi. Secondo i dati dell’Agenzia delle entrate tra il 2016 e il 2023 i canoni di locazione hanno visto un incremento del 7,1% e non sono ancora tornati al livello pre-Covid, mentre l’inflazione complessiva è stata del 18,7%. Significa che in termini reali sono diminuiti di quasi il 10%.

Anche in questo caso non mancano le disuguaglianze, che sono in crescita, perché nelle grandi città gli affitti sono saliti, seppur di poco, a essere penalizzati sono stati soprattutto i locatori di negozi nei piccoli centri, che sono costretti, da sempre, a chiedere cifre molto inferiori a quelle tipiche dei grandi capoluoghi, ma sono comunque tartassati dal fisco.

È per questo che la Confedilizia chiede, da un lato, che sia attuata al più presto la parte della riforma fiscale che prevede l’estensione del regime della cedolare secca alle locazioni commerciali e, dall’altro, che sia superata la legislazione vincolistica sui contratti risalente al 1978.

“Grandi locazioni commerciali” e clausole derogative alle norme imperative di legge

Per effetto dell’art. 18 del decreto-legge n. 133 del 12.9.2014 (cd. decreto “Sblocca Italia”), come convertito in legge, che ha aggiunto all’art. 79 della legge n. 392 del 1978, un terzo comma, è possibile inserire nei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo, “clausole che incidano sulla durata del contratto, o che attribuiscono un maggior canone al locatore, o che comunque deroghino alle disposizioni della legge 392/1978 ove ricorra il presupposto di ordine quantitativo basato sull’ammontare dell’importo del canone annuo pattuito (che deve superare Euro 250.000,00), oltre che quello formale costituito dalla «approvazione per iscritto» del contratto”. Pertanto, nelle “grandi locazioni” commerciali possono “essere oggetto di libera contrattazione tra le parti le clausole su durata minima, rinnovo automatico, prelazioni, recesso per gravi motivi, indennità a fine locazione e indicizzazione e/o aumenti del canone”. E, con particolare riguardo a quest’ultimo profilo, dovranno dunque ritenersi lecite anche le “clausole di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria che superino i limiti quantitativi” previsti dall’art. 32 della predetta legge 392/1978. Così la Cassazione, con ordinanza n. 3399 del 6.2.2024

Usucapione e onere probatorio

“Essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere. Per contro, la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore”. Così la Cassazione, con ordinanza n. 6324 del 25.2.2022

Azioni a difesa della proprietà

In tema di azioni a difesa della proprietà, “l’azione per ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, trattandosi di azione reale modellata sullo schema dell’actio negatoria servitutis, rivolta non ad accertare il diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù”. Così la Cassazione, con ordinanza n. 15142 del 31.5.2021 (da Confedilizia Notizie)

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