Non risponde all'interrogatorio il 54enne arrestato dai carabinieri. Intanto si indaga sul ruolo dei due medici che sottovalutarono i sintomi. Il dossier choc
Resta in carcere il presunto “untore” arrestato lunedì sera dai carabinieri della Polizia Giudiziaria con l’accusa di aver contagiato e portato alla morte la ex compagna, una giovane professionista messinese. L’uomo, che da tempo gravitava nel nord Italia, era tornato in città per una causa civile importante e poco prima è stato bloccato dai militari.
Ieri mattina il giudice per le indagini preliminari Maria Vermiglio si è recata a Gazzi per l’interrogatorio di garanzia ma il cinquantacinquenne, difeso dall’avvocato Antonio Langher, si è avvalso della facoltà di non rispondere e ha fatto scena muta.
Adesso il legale attende probabilmente di leggere tutte le carte del fascicolo per capire i prossimi passi da compiere, a cominciare da una eventuale richiesta al Tribunale del Riesame per rivedere l’ordinanza che lo pone in carcere.
Le accuse contro di lui sono pesanti. Avrebbe contagiato almeno altre due donne, oltre alla ex compagna messinese, ed avrebbe taciuto anche all’attuale compagna di essere sieropositivo (la donna, però, non è ammalata).
“Non sfugge che l’indagato ha con particolare spregiudicatezza taciuto a tutte le sue partner la sua condizione e con allarmante pericolosità ha preteso rapporti sessuali non protetti, mettendo a rischio l’altrui salute per il proprio soddisfacimento sessuale”, scrive il giudice nel provvedimento d’arresto.
Dall’altro lato c’è il sostituto procuratore Roberto Conte, che si occupa della vicenda da quando la sorella della donna ha cominciato la sua battaglia, assistita dall’avvocato Bonni Candido, denunciandolo. Sul tavolo del magistrato c’è una perizia del medico legale molto chiara, che spiega come la morte della donna sia legata inesorabilmente al contagio.
Ma non soltanto: il perito mette nero su bianco quanto è stato sottovalutato il suo stato patologico, portandola alla morte senza che nessuno si fosse accorto, se non quando era troppo tardi, che si trattava di Aids.
Poteva essere salvata? Certamente i medici avrebbero dovuto essere più scrupolosi, i sintomi che la donna presentava erano inequivocabili, è scritto nel dossier che ha in mano la magistratura. Per questo, in un altro fascicolo, separato, il magistrato ha indagato due camici bianchi messinesi che hanno avuto in cura la professionista messinese.