Dal dibattito organizzato dall'Associazione giovani avvocati e da Posto occupato nasce l'idea di creare una "rete" per spezzare la catena della violenza "di ogni genere" e predisporre un Manifesto.
La filiera della violenza ha un’origine e precise responsabilità, che sono di tutte le componenti della collettività. Da questo punto di partenza è arrivato il momento in cui, ognuno per la sua parte, si assuma la “responsabilità” individuale prima e collettiva poi, di spezzare la filiera della violenza.
E’ questo il cuore del dibattito che si è tenuto presso la Corte d’appello, organizzato da una coraggiosa Aiga (associazione giovani avvocati), con in trincea Frida Simona Giuffrida in collaborazione con Posto occupato di Maria Andaloro e con l’Ordine degli avvocati.
Più che un dibattito la nascita di un discorso di “rete”, tra quanti, nei diversi ruoli di operatori sociali, formatori, avvocati, magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, di associazioni, del mondo dell’informazione, possono avviare un cambiamento culturale radicale e profondo e che deve vedere insieme in questa battaglia scuola-famiglie-società.
“La violenza si impara. Chi usa la violenza come linguaggio per “comunicare “, per esercitare potere, non è nato con questa capacità- spiega Maria Andaloro- Per capire quando, da chi, come e perché l’ha imparata è necessario guardare al più largo contesto della società che ha contribuito ad educarlo, a formare il suo pensiero, il suo comportamento e le azioni. Parlare di violenza limitandola alle relazioni familiari, è il primo errore. Perché invece si tratta del modo in cui una comunità crea la società costruendo relazioni tra persone, partendo dalla famiglia e poi fuori dal contesto familiare. La violenza è un problema culturale. La violenza è una responsabilità sociale”.
Ad aprire i lavori sono stati il presidente dell’Aiga Antonino De Francesco, il componente dell’ordine degli avvocati Paolo Vermiglio, la promotrice di un’iniziativa che si spera andrà lontano Frida Simona Giuffrida, l’assessore alle politiche sociali Nina Santisi. Nell’Aula affollata della Corte d’appello anche delegazioni di studenti dei licei classici La Farina e Maurolico, che a fine incontro sono diventati protagonisti attivi della necessità di iniziare davvero ad ascoltare le nuove generazioni. Non a caso la locandina del dibattito riportava la fotografia scattata nei bagni di una scuola dalla professoressa Clelia Lombardo con una frase che è la sintesi perfetta della nostra società attuale: “la nostra generazione non è muta è la politica che è sorda”.
Il dibattito è stato diviso in 3 fasi, ognuna delle quali di grande impatto e utilità per costruire una rete tra quanti vogliano trasformare responsabilmente un problema culturale in una nuova realtà. Ognuno dei relatori ha dato un contributo importante per “raccontare” un piccolo spicchio di una società che si nutre di violenza e che ha fatto delle diverse forme di violenza la modalità del “comunicare”. Dal Forum delle famiglie si è passati alla testimonianza di Pancrazio Auteri esperto in educazione sportiva che attraverso la “parabola” del rugby ha spiegato come ci siano alcuni valori che vanno oltre le regole. Uno spaccato delle nostre periferie e di realtà disagiate che chiedono solo di essere ascoltate (e non ghettizzate o represse) è venuto fuori dalle testimonianze di don Nico Rutigliano impegnato nella “frontiera” di Villaggio Aldisio e Fondo Fucile e della professoressa Lina Lenzo, che ha inventato un metodo d’insegnamento nelle classi cosiddette “a rischio” che dovrebbe essere inserito in qualsiasi riforma della scuola per i prossimi due secoli….
Sempre dalla “prima linea” della filiera della violenza sono venuti i racconti delle assistenti sociali, del mondo delle associazioni e delle forze dell’ordine. Intensi e concreti, senza ipocrisie o illusioni, gli interventi di Maria Baronello, Rosaria Di Blasi, Concetta Restuccia, Angelo Costantino (quest’ultimo, psichiatra del Tribunale, ha letto una testimonianza di una madre che ha inchiodato la sala al dolore di una comunità che non riesce a difendere gli ultimi, i più fragili, quelli che restano indietro). Dalle relazioni di chi opera in prima fila nel territorio è emerso un spaccato di quella che può definirsi la “violenza contro ogni genere”, che supera i confini del femminicidio e che supera anche i confini stessi dell’immaginabile.
La prova che la nostra società ha fallito è rappresentata dagli interventi successivi, ovvero, avvocati e magistrati. Quando si entra in un’Aula di giustizia è perché tutti noi abbiamo fallito, educatori, famiglie, scuole, collettività.
Se l’avvocato Isabella Barone ha lucidamente invitato la platea a guardare dritto negli occhi proprio questo fallimento della società, che addita il mostro anche quando quel mostro è figlio di una comunità che lo ha nutrito per farlo diventare tale, sono stati i racconti dei giudici Maria Teresa Arena e Daria Orlando a far piombare il silenzio in sala. I due casi che hanno raccontato, due tra le centinaia che senza dubbio hanno dovuto e devono affrontare ogni giorno, non sono frutto di un romanzo o di un talk show. Sono un pezzo di cronaca e di storia di Messina. Sono i nostri vicini di casa, i nostri amici, i nostri conoscenti. L’ultimo passaggio di quella filiera della violenza è in tribunale. E’ il suggello ad una società che ha fallito. I due casi rappresentavano un finale positivo, ma amaro, amarissimo sia per gli anni che son dovuti trascorrere che per i drammi che racchiudevano.
L’ultima parola è andata agli studenti del La Farina e del Maurolico, con interventi appassionati introdotti da Maria Fernanda Gervasi che sta curando il progetto nelle scuole e da Enrica Stroscio.
Fin quando non arriveremo ad “ascoltare” quel mondo saremo tutti sordi. Lo siamo ancora.
Il dibattito si è concluso con un appello lanciato da Maria Andaloro con la quale, insieme alla collega Gisella Cicciò, stiamo provando a portare avanti l’idea di un “Manifesto” costruito con il contributo di tutti per spezzare la filiera della violenza.
Per questo invitiamo tutti e non soltanto gli addetti ai lavori a mandare un contributo a info@postoccupato.org scrivendo nell'oggetto "Manifesto"
Rosaria Brancato