Passi importanti nel recupero dell’identità e della memoria messinesi
Il 7 marzo alle ore 17,00 alla Cappella di S. Maria all’Arcivescovado si è tenuto in via del tutto eccezionale – in considerazione della tematica – un incontro studi su “La Biblioteca dispersa della Cattedrale di Messina”, con l’intervento di qualificati relatori: il 16 ottobre, infatti, la Cappella ospitante è stata riaperta al Culto per volontà dell’Arcivescovo. L’evento è stato organizzato dalla Biblioteca Regionale Universitaria G. Longo di Messina, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Messina, la “Sacra Milizia dei Verdi” e la “Società Messinese di Storia Patria”. La Direttrice dell’Istituto, dottoressa Maria Teresa Rodriquez, con l’ausilio del personale della Biblioteca in parola, ha attivato questa iniziativa, molto partecipata, e davvero di interesse non solo per gli addetti ai lavori. In apertura Mons. Giuseppe Costa ha presentato l’organista, Don Giovanni Lombardo, che ha eseguito un preludio in Sol Maggiore di Johan Sebastian Bach. Il Dirigente Responsabile della Biblioteca ha poi effettuato i ringraziamenti di rito all’ l’Arcivescovo, a Don Lombardo, agli Enti in collaborazione e ai relatori che si sono poi avvicendati. La dott.ssa Rodriquez ha messo in evidenza come anche questa prima iniziativa del 2018 abbia trovato genesi nell’amore prepotente per i manoscritti che l’ha sempre sorretta e proseguito brevemente con focus sulla Messina del XII° secolo, che intratteneva rapporti con Francia e Inghilterra. Della Biblioteca della Cattedrale di Messina si è sovente parlato, ma poco si è veramente indagato; si conosce abbastanza della cultura greca del secolo, poco di quella latina e delle sue origini. La parte greca della Biblioteca della Cattedrale, quella cioè donata alla città da Costantino Lascaris, è stata oggetto di approfondimenti, diversamente da quella latina. In particolare, nei fondi della Biblioteca regionale si sono rinvenuti frammenti di un manoscritto con il testo giuridico dei Basilici, esemplare fra i più antichi conosciuti della prima metà del X secolo (altri frammenti dei manoscritti sono custoditi c/o la Biblioteca Ambrosiana, ma sempre provenienti dal Fondo S. Salvatore). Il primo relatore è stato il Prof. Horst Enzensberger, specialista del Regno Normanno in Sicilia e di Storia della Chiesa e docente c/o le università di Bamberga e Wurzburg, oltreché “visiting professor” di università italiane. Lo studioso si è soffermato principalmente sulle 22 pergamene del XI secolo provenienti dall’Archimandritato del SS. Salvatore., spiegando, sia pure in materia sintetica, le ragioni che hanno condotto i Normanni ad insediarsi dapprima a Troina, e a trasferire successivamente la sede a Messina. Si è passati poi all’intervento di Mons. Giuseppe Costa, delegato arcivescovile per la Chiesa di S. Maria all’Arcivescovado, che si è soffermato sulle Sacre Scritture, che non rappresentano un testo, ma una raccolta scritta nel corso di vari secoli: la Bibbia si compone di 73 libri, dall’Antico al Nuovo Testamento che attraversano 20 secoli (si parla di Scrittura Sacra) e la terminologia “Testamento” va intesa nell’accezione ebraica di “volontà” di chi vive, quale Antico Patto, e Nuova Alleanza; in particolare l’Antico è raccolto in 46 libri e il Nuovo in 27. I passaggi consistono nella tradizione orale dei Pacta Mnemonica, tramandati di generazione in generazione, nella raccolta delle tradizioni per clan e tribù, nella messa per iscritto per argomenti e elenchi e infine nella compilazione del Testo Sacro. Per gli ebrei come è noto la Torah è testo d’elezione. Si è soffermato poi sui supporti scrittori del testo biblico:in Mesopotamia si scriveva dapprima su terracotta, graffiando con stilo o su pezzi di argilla, che avevano la proprietà conservare i colori e non consumarsi; si passò poi al papiro, in quanto commerciabile e trasportabile e presente anche a Siracusa, ma trattavasi di materiale fragile, poi al cuoio essiccato e alla pergamena (denominazione desunta da Pergamo, luogo di preparazione) con pelle di pecora, di difficile reperimento, però. Le lingue della Bibbia sono l’ebraico, l’aramaico e il greco, con una percentuale del 90% di ebraico e aramaico per Vecchio Testamento: Gesù parlava in aramaico, ma pregava in ebraico. In età Ellenistica si è utilizzato il greco, non quello classico, ma quello parlato della n’, riportato nel Nuovo Testamento. I primi 5 libri dell’Antico Testamento sono riferibili a più Autori, non certo a Mosè, ma c’è l’impronta delle tradizioni orali e 4 sono le linee autoriali: iavista, eloista, di legislazione e sacerdotale. La fase redazionale è quella degli scritti veri e propri e si va dall’età patriarcale, 1880 A.C., a quella dell’Esodo, cioè l’uscita dall’ Egitto, 1200 A.C. Nell’anno mille dopo Salomone i due Regni vennero divisi. Nel 600 A.C. ci fu la prima deportazione degli Ebrei, poi anche quelli del Sud vennero deportati a Babilonia e poterono far ritorno solo con l’Editto di Ciro; poi Alessandro Magno fino al 63 A.C., e, ancora, la conquista pacifica della Palestina, che divenne provincia romana, da parte di Pompeo, uno Stato nello Stato. Gli Zeloti poi mossero guerra a Roma e i Sicari fecero strage; nel 70 d.C. Roma distrusse il tempio di Israele, vi fu una grossa deportazione e di uno Stato d’ Israele si parlerà solo nel 1948. Il Nuovo Testamento si compone di 4 Vangeli, di Atti degli Apostoli, di Lettere Apostoliche e del Libro dell’Apocalisse, di rivelazione degli ultimi eventi. La Bibbia è stata tradotta in tutti i dialetti del mondo. Valeria De Fraja nel successivo intervento si è soffermata sull’antica Biblioteca di Messina. La studiosa, con laurea in lettere moderne, tesi in storia medioevale, dottorato e borsa post docenza biennale, ha assommato alla formazione storica quella di filologa. L’insurrezione di Messina nel 1674 fu repressa nel 1678 dal Vicerè Francisco de Benavides, con perdita dei privilegi e requisizione dei documenti che di quelli erano espressione. Nel 1994 con la nota mostra messinese sono tornati in città parte dei documenti dell’Archivio Storico della Città di Messina, sequestrato dagli spagnoli e si è parlato a ragione di ritorno della memoria, una memoria tormentata: i documenti attualmente sono a Toledo e il loro reperimento è stato alquanto difficile. La Biblioteca divideva gli spazi della Cattedrale con l’Archivio, nei locali della Torre Campanaria, e, proprio a causa di quella promiscuità, anch’essa fu sottratta alla città: i manoscritti furono dapprima condotti a Palermo; il successore di de Benavides incorporò quel patrimonio e nel 1696 lo trasportò a Madrid, e poi con la sua morte nel 1718 i Beni furono sequestrati dal Re di Spagna e oggi il Fondo è parte della Biblioteca National de Espana. È stato necessario procedere alla loro identificazione attraverso gli ex libris, cioè le note scritte da membri ecclesiastici e si è riscontrato che 51 manoscritti recano tali indicazioni, alcuni con la scritta 1448; altro mezzo identificativo è stato la legatura Uceda (dal Duca di Uceda) una legatura siciliana in verde e oro, con monogramma e, ancora, attraverso gli inventari, i 5 di Johannes Sylvester nel 1692, conservati nella Real Academia Espanola e suddivisi in 29 Sezioni. Ci si potrebbe chiedere quale fosse la “ratio” dell’esistenza di una Biblioteca c/o la Cattedrale: trattavasi di Libri Liturgici (messali, evangeliari, una Bibbia glossata in 17 volumi, diffusa nelle scuole normanne), Libri di Teologia (di Ugo San Vittore e Graziano) e Libri Giuridici (sulla normativa ecclesiastica e di diritto canonico) tutti importanti in Sicilia ove la traduzione latina era stata dimenticata. La studiosa Elisabetta Caldelli, con laurea in Paleografia e Diplomatica e successivo dottorato di ricerca, si è poi occupata della produzione libraria del ‘400, di epigrafia medioevale e di catalogazione di manoscritti, e ha condotto i presenti in una sorta di passeggiata virtuale attraverso quei tesori. Ma cosa veniva prodotto e circolava all’interno dell’isola? Nel XII secolo vi erano manoscritti normanni e manoscritti prodotti in Sicilia e l’importante Bibbia glossata in 17 volumi, 15 dei quali identici e due che si discostavano. In Francia (al Nord)e in Sicilia (al Sud) era diffusa identica grafia, ma la decorazione siciliana era diversa da quella del Nord. In Sicilia l’arte bizantina e quella araba erano commiste. La dottoressa Caldelli ha elencato a questo punto una serie di manoscritti dei quali si presume l’apparentamento messinese, alcuni per ragioni testuali, come i manoscritti liturgici; sono stati poi citati manoscritti di origine francese o inglese e quelli provenienti dall’Italia centrale: la loro scrittura era uniforme, come l’impaginazione e le decorazioni; dopo il XII secolo la produzione divenne molto varia e difficile l’individuazione della provenienza e molti dovettero essere i donatori: vi erano ancora manoscritti privi della nota di possesso e della legatura Uceda, ma riferibili alla Sicilia; si sono ricordati, infine, i manoscritti bolognesi. Manoscritti quindi di fattura e provenienza diversa, alcuni probabilmente portati con sé da quei notabili che affiancavano i sovrani normanni, tutti comunque riconducibili per motivi diversi alla biblioteca della cattedrale, che si prospetta quindi più ricca e di maggiore rilevanza culturale di quanto fino ad oggi immaginato. E’ stata poi la volta di Giovan Giuseppe Mellusi, con laurea in giurisprudenza e teologia, e dottore e assegnista di ricerca, che si occupa di Storia della Chiesa locale e ha al suo attivo numerose pubblicazioni, è tesoriere della Società Messinese di Storia Patria e Direttore dell’Archivio Storico Messinese. La Cattedrale di Messina era gestita da Canonici e l’Arcivescovo non si ingeriva nelle vicende patrimoniali; nell’XI secolo Ruggero, Conte di Sicilia e Calabria, aveva riportato l’episcopio a Messina. Da fine XI secolo al XII (con la nuova Cattedrale di Messina) la Cattedrale era intestata a San Nicola ed era anche residenza del vescovo. Nella controversia del 1168 fra l’Arcivescovo Nicola e i canonici, l’arbitro fu Gualtico, Arcivescovo di Palermo, nominato dal sovrano e si stabilì che i canonici avevano ragione: da allora le consuetudini furono esclusivo appannaggio dei canonici stessi, i cui nomi suggerivano a volte un’origine normanna, e pieni furono i poteri ad essi conferiti dalla cd concordia. Vi erano tre dignità capitolari che non erano scelte dall’arcivescovo. La cura spettava al Cappellano e al Sacrestano. La piccola Messina in età normanna si estendeva da S. Elia alla Piazza Duomo e Università e la biblioteca venne costituita nella piccola Chiesa di S. Nicola, che poi, con l’avvento della Nuova Cattedrale, restò Parrocchia fino al 1783. Dopo l’Arcivescovo Nicola ci fu Riccardo e numerosi sono stati i documenti vescovili con sottoscrizione del consiglio dei Canonici, come Pietro di Catania e Goffredo Guglielmo e tanti i tentativi degli Arcivescovi che si sono susseguiti, di ingerirsi nella gestione del capitolo. Quanto agli introiti si è evidenziato come la cera ne costituisse parte importante attraverso i funerali. Infine si è passati alla disquisizione di Federico Martino, ordinario di Storia del diritto italiano e studioso di diritto medioevale, che si è occupato in particolare del pensiero giuridico nei secoli XIII–XV ed è socio dell’Istituto Siciliano di Studi Bizantini e neoellenici “Bruno Lavagnini” e della Società Messinese di Storia patria. Le Assise di Ruggero del Codice Vaticano sono mutuate dal diritto giustinianeo, anche se in “Italia” Meridionale, fino al 1200, non vi era traccia della presenza di tale diritto. Probabilmente, “la Summa Istitutionis”, prodotta nella Francia Meridionale arrivò in Sicilia prima delle Assise. Con riferimento a Giustiniano si può utilizzare l’attributo “bifronte”,ove uno parla greco, l’altro latino. Nella prima metà del XII secolo si cercò di apprendere dal diritto giustinianeo: c’era la legislazione del sovrano e le altre e Ruggero II apparentemente non voleva abrogare quelle preesistenti nel regno ( comprensive dei costumi locali, del rispetto delle consuetudini e delle leges del diritto longobardo) poiché per volontà divina doveva mantenere pace e giustizia: quest’ultima era in mano ad un corpo di funzionari, dai giustizieri ai giudici cittadini e il materiale era raccolto per materia ed era in latino. Da ciò si arguisce che forse Ruggero non rispettò davvero il passato. Federico II poi dirà che il diritto pregresso e le consuetudini potevano trovare applicazione, ma dopo la loro approvazione. Infine è intervenuto Rosario Moscheo, presidente della Società messinese di Storia Patria per affermare come, e ciò paradossalmente, i manoscritti e i Codici attraverso il sequestro spagnolo abbiano in realtà ricevuto una forma di custodia. In chiusura, l’importante convegno ha ricevuto ulteriore suggello con l’intervento musicale all’organo di Don Lombardo, che ha eseguito una Fuga di Johan Sebastian Bach.