Coronavirus, 3 professori al rettore: "Non è andato tutto bene. Ora rilanciamo il nostro ruolo"

Coronavirus, 3 professori al rettore: “Non è andato tutto bene. Ora rilanciamo il nostro ruolo”

Redazione

Coronavirus, 3 professori al rettore: “Non è andato tutto bene. Ora rilanciamo il nostro ruolo”

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sabato 11 Aprile 2020 - 09:48

"La didattica a distanza è l'emorragia del senso del nostro lavoro. Torniamo ad essere un luogo di ricerca, rilanciamo il nostro compito"

Di seguito la lettera dei professori Amato, Forni e Miglino indirizzata al Rettore Cuzzocrea.

Gent.mo Rettore, prof. Cuzzocrea, siamo docenti del DiCAM e scriviamo – a Lei, e, per conoscenza, ad altri nostri cari colleghi – per sottoporle una questione apparentemente secondaria in una fase terribile come quella che stiamo vivendo di fronte al pericolo scatenato dalla diffusione del Corona-virus. Terribile però, a nostro avviso, anche per come le Autorità politiche, soprattutto in Lombardia, ma non meno di altre, in realtà, qui al Sud, hanno gestito e continuano a gestire questa emergenza. Ma non è ovviamente per questo motivo che la disturbiamo.

“Andrà tutto bene” rimuova la frase

Piuttosto le scriviamo per chiederle di rimuovere dalla home page del sito della nostra Università l’incoraggiamento ANDRA’ TUTTO BENE, che rischia di rappresentare un indice e un sintomo più ampio di una grave e offensiva distrazione della nostra Istituzione dalla condizione presente; quando, cioè, la situazione che stiamo vivendo dipende proprio dal fatto che non è andato e quindi non potrà andare tutto bene (anzi, perché non scrivere proprio: “NON È ANDATO TUTTO BENE”?).
Non possiamo affermare che ANDRA’ TUTTO BENE quando in Italia i morti (solo quelli ufficiali) da Corona-virus sono ad oggi circa 18.000. Come possiamo scriverlo di fronte ai sentimenti, al dolore di chi è rimasto travolto – parenti, amici, conoscenti – in modo diretto da questa tragedia?

“Non è andato tutto bene”

Non andrà tutto bene perché lo stato d’emergenza che viviamo ha sferrato dei colpi poderosi allo Stato di diritto; perché il costo economico, sociale, psicologico – individuale e, ancor più, collettivo – del trauma che stiamo attraversando è già altissimo, e probabilmente è solo l’inizio. E, per tornare al nostro mondo, l’Università, l’introduzione della Didattica a distanza, in questo momento inevitabile, non solo colpisce al cuore, come ogni insegnante sa, il valore di qualsiasi insegnamento che abbia l’ambizione di non esaurirsi in un mero traffico di nozioni, ma pone in modo radicale il problema – ad oggi ampiamente sottovalutato nell’arcipelago universitario – delle disparità di condizioni sociali, economiche e, quindi, tecniche da cui partono gli studenti.

L’emorragia del senso del lavoro

In prospettiva, non possiamo fare a meno di considerare la Didattica a distanza come un’emorragia del senso del nostro lavoro e lamentare quindi che non solo non andrà tutto bene, ma che le cose stanno già andando malissimo, fra l’altro proprio perché qualcuno può osare di dire che ANDRA’ TUTTO BENE. In uno spazio come quello dell’Università sarebbe auspicabile immaginare di non cedere a un ordine del discorso torpido e quasi fatalistico (ANDRA’ TUTTO BENE), che tende a rimuovere la catastrofe sanitaria, politica e culturale che stiamo attraversando da oltre un mese.

Rilanciamo il nostro compito

L’Università non dovrebbe limitarsi a recepire passivamente la voce di un lenzuolo steso su un balcone utile a scattare una fotografia, ma deve cogliere la paradossale e dolorosa occasione offerta dal momento per rilanciare il proprio compito, ossia essere luogo di ricerca in grado di porsi in maniera non necessariamente simbiotica con le paure dell’opinione pubblica, e stimolo per un’analisi critica del presente, a maggior ragione quando abitiamo uno stato d’eccezione inedito come quello attuale. Altrimenti, il rischio, che siamo certi Lei vuole evitare, è quello di destare l’impressione di considerare questa situazione d’emergenza come normale.

Pierandrea Amato, Giorgio Forni, Gianluca Miglino

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2 commenti

  1. Penso semplicemente che l’adozione del ‘tormentone’ social “Andrà tutto bene” da parte della nostra università andasse letto come la volontà di rendere l’istituzione un anello della catena umana e solidale che idealmente unisce tutta l’Italia, da Nord a Sud, in questo momento di grave e inedita emergenza, anche nei fatti, affiancando il Comune e la Protezione civile, mettendo a disposizione del territorio le proprie risorse. Personalmente penso che non solo ‘andrà tutto bene’, ma ‘va già tutto bene’, vista la terribile situazione, se il policlinico universitario riesce ad affrontare con la professionalità e l’umanità del suo personale sanitario e amministrativo l’urgenza dei ricoveri, il reperimento dei presidi di protezione, dei reagenti per i tamponi, lo smistamento dei pazienti in via di guarigione verso altre strutture, anche queste bisognose di presidi da garantire, a tutti i costi. Se si riesce a superare il ‘distanziamento’ con parole di conforto e vicinanza a chi ha dovuto subire la perdita di una persona cara in un’ingiusta e crudele solitudine. ‘Va già tutto bene’ se siamo riusciti a garantire un sereno svolgimento di esami e lauree per più di un centinaio di studenti, grazie al lavoro di tutti; se riusciamo a trovare la forza di fare lezione ai nostri studenti, noi, orfani della loro presenza, dei loro occhi curiosi, dei loro sorrisi freschi, della loro leggerezza, senza abdicare al nostro ruolo di punto di riferimento, se ci sforziamo di restare al nostro posto, di sciogliere, come possiamo, i loro dubbi e le loro perplessità. Sempre e comunque, nonostante tutto il male che ci vorrebbe annientare. Per questo ‘Va già tutto bene’. Anche così.
    Rosy Santoro

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  2. Sono sicuro che il Rettore sia in grado di porsi in maniera non necessariamente simbiotica con le paure dell’opinione pubblica, e possa essere stimolo per un’analisi critica del presente, a maggior ragione quando abitiamo uno stato d’eccezione inedito come quello attuale ma… non ho in fine pratico/filosofico dei Richiedenti

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