"Abbiamo imparato che attendere non vuol dire restare inattivi. E il passaggio che conduce alla terra promessa non è così scontato"
Di seguito la riflessione di Pino Currò
Tempo di Pasqua, tempo di passaggio. Tempo di attesa, tempo di ripensamento. Aspettando che tutto si plachi. Ora si attende la fase due. Quella che ci dovrebbe riservare maggiori certezze. Si sono rispettate in linea di massima le regole. Si è stati obbedienti ed ordinati. Le nostre strade vuote ci ricordano il copri fuoco del periodo bellico. Anche allora si aspettava che tutto finisse. I nostri nonni ci ricordavano che la povertà e la fame la facevano da padroni. Oggi noi non moriremo di fame. Mentre sono emerse con forte evidenza le sacche di povertà. Quelle che man mano hanno trovato spazio tra le tante diseguaglianze. Il governo ha predisposto interventi massicci per contrastarli.
Risaliremo la china. Tutti a ribadirlo ritrovando un senso di appartenenza da tempo smarrito. Noi nazionalisti, noi solidali, noi orgogliosi di essere italiani. E’ l’aspetto più eclatante che emerge osservando il popolo italico, che anche le altre nazioni hanno messo in evidenza. Già, noi così masochisti. Noi, spesso i peggior denigratori di noi stessi. Mentre i dettami governativi si inframmezzano con i bollettini riepilogativi dei morti, degli infettati, dei guariti, ci ritroviamo a fare i conti con i sentimenti più disparati. I nostri sentimenti, le nostre sensazioni. Di questi momenti bui. Come se fossimo ritornati nel Medio Evo.
Intanto gli scienziati, gli specialisti ci inviano messaggi rassicuranti. E pensiamo : quando tutto sarà finito ci sembrerà di aver vissuto un brutto sogno. Così questi giorni che preparano la Pasqua si riempiono di trepidante attesa. Non era stato mai così, in tempi di pace. Stavolta l’attesa della nostra Pasqua, della nostra Rinascita sarà più lunga. La nostra passione è destinata a prolungarsi. Così facendo, forse, riusciremo a cogliere il senso profondo di un passaggio che normalmente, frettolosamente ci conduce ad un altro. Tutti scontati, tutti ripetitivi, contraddistinti soltanto dal consumismo, dagli innumerevoli messaggi fatti in serie e dal vogliamoci bene a basso costo. Dai riti del Natale si passa agli altri riti, anche pagani, come il Festival di S. Remo, come Carnevale. Poi quelli di Pasqua, e così via. Tutti vissuti con lo stesso spirito goliardico.
Stiamo avvertendo in questi giorni che attendere non vuol dire restare inattivi. E’ la nostra mente quella che lavora di più. Che il passaggio che ci conduce alla terra promessa, alla Resurrezione di massa, già garantita dal calendario, non è così scontato. Per tale motivo l’attuale periodo di Passione si avvicina molto allo spirito dei testi tramandatoci dalle Sacre scritture. Poichè ci racconta di sofferenza vera, di solidarietà vera, di attesa trepidante vera, non più di quella incellofanata in una colomba pasquale. Nella storiografia cattolica la Natività e la Pasqua sono due eventi centrali. Ancor di più la Pasqua. Senza purificazione non vi è redenzione. Senza la possibilità di redimerci continuamente, settanta volte sette, dai nostri “peccati” saremmo come una nave senza nocchiero e senza bussola, alla deriva degli impulsi più contrastanti. Quello che conta non sono i riti in se. Anche i pagani avevano riti assai seducenti. E sono sopravvissuti fino ai nostri tempi, camuffati dalla modernità. Contano i significati. Conta il valore che attribuiamo alle nostre azioni. Forse, nostro malgrado saremo costretti a dei ripensamenti. La morte ora ci appare in tutta la sua crudezza.
I nostri poveri vecchi, ma anche i giovani, esposti in immagini che non eravamo più abituati a vedere. Non più volti gioviali che esaltano un giovanilismo eterno. L’iconografia moderna ha eliminato le rughe, il passo lento e tremolante, l’abbandono finale. Sempre volti immacolati e vincenti che annullano infastiditi l’espressione dolorosa del Cristo sulla croce. Eppure ci avevano detto i nostri Padri, che senza la sofferenza e il martirio del Cristo, la nostra Fede sarebbe stata priva di valore e di significato. E verrebbe da dire, anche la nostra società occidentale che esalta la religione cristiana e la contrappone ad altre. Proprio quella che viene difesa a spada tratta ed esibita come la “migliore”, in quanto più tollerante e compassionevole rispetto ad altre che vengono definite integraliste, fondamentaliste e fanatiche. Intanto le immagini di questi giorni cruciali scorrono, mentre si insinuano nella nostra mente riflessioni che appaiono d’altri tempi, fino a poco tempo fa impensabili, che ripropongono nella loro lucidità un’altra idea di noi stessi e del nostro modo di stare assieme. Nostro malgrado. Saremo migliori di prima ?
Pino Currò