Facciamo il punto sulla lotta alla mafia sui Nebrodi dopo l'ultima retata, tra Bronte e Cesarò, col Questore di Messina Giuseppe Cucchiara: "non sono più territori inviolabili".
C'è fermento sui Nebrodi. Nel territorio montano a cavallo tra le province di Messina, Enna, Catania e Palermo opera una criminalità molto radicata sul territorio, che dopo anni di relativo "silenzio" – anche se nella zona del catanese non si sono mai placati gli efferati delitti – è tornata a mostrare di essere capace di violenza inaudita e pericolosa. La posta in gioco è alta: il flusso di finanziamenti pubblici destinati alle zone agricole ma soprattutto la possibilità di accaparrarsi le risorse di una zona che è ad una svolta, nel cammino verso lo sviluppo.
L'ultimo lembo sano della provincia di Messina, che ha dalla sua una straordinaria potenzialità, a differenza di altre zone del messinese ormai "bruciate", e dove le dinamiche sociali sono ancora "sane", è ad un incrocio fondamentale, e deve scegliere quale strada imboccare.
Ecco perché la mafia si fa forte, ed ecco perché lo Stato ha risposto subito. Nell'intervista al Questore di Messina, Giuseppe Cucchiara, entriamo nel vivo della questione sicurezza, all'indomani della ultima retata antimafia.
L’ultima operazione della Dda di Catania dimostra che sui Nebrodi c’è una criminalità forte, in grado di dimostrare una faccia molto violenta. Si tratta di una criminalità estremamente raffinata, che ha trovato dei metodi di arricchimento che prescindono dai tradizionali metodi violenti e sono in particolare quelli che consentono l’appropriazione dei contributi, nazionali ed europei, destinati a pascoli ed agricoltura.
Negli ultimi mesi questa criminalità ha però subito colpi durissimi, dalle tante inchieste portate a termine e sfociate negli arresti alle denunce di molti operatori economici che controllavano l’apparato attraverso il quale si appropria dei finanziamenti comunitari.
Le indagini svolte hanno dimostrato che queste sacche di accaparramento illecito, o altri fenomeni come l’abigeato, il traffico delle carni non controllate, non sono più “sacrari” inviolabili, non più appannaggio della criminalità al riparo dagli occhi attenti dello Stato. Abbiamo dimostrato che anche lì si riesce ad entrare.
Come si fa a penetrare in contesti molto particolari come appunto quello dei Nebrodi?
Soprattutto attraverso il lavoro capillare di grandi professionalità, quelle in grado di riconoscere ad esempio dove può esserci un flusso di carni adulterate. Attraverso il lavoro quotidiano ed attento degli investigatori in grado di conoscere il mondo dell’abigeato, con indagini che si fanno giorno per giorno, che magari sono fanno poco clamore, ma che possono colpire in maniera significativa la criminalità del territorio.
Il protocollo interforze più volte richiamato dal presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, a che vi serve operativamente, vi è utile?
Il protocollo non serve alle forze di polizia; serve ai cittadini, alla criminalità, serve ad evitare che le famiglie mafiose possano accaparrarsi contributi pubblici senza averne diritto.
Come contribuisce la Questura a questo lavoro?
Fondamentalmente contribuiamo attraverso gli accertamenti antimafia. La Polizia fa parte del gruppo interforze della Prefettura che monitora e rilascia le certificazioni antimafia. Gli strumenti investigativi e di polizia sono sempre gli stessi, quelli storici che ci sono assegnati. La novità del Protocollo è che le conoscenze, e questi strumenti, vengono messi in comune tra le varie forze dell’ordine e i componenti del gruppo, creando una circolazione delle informazioni che ha dato ottimi risultati.
Alessandra Serio