Antonino e Gaetano D'Angelo, due storie eroiche, una sola divisa: quella della Polizia di Stato

Antonino e Gaetano D’Angelo, due storie eroiche, una sola divisa: quella della Polizia di Stato

Antonino e Gaetano D’Angelo, due storie eroiche, una sola divisa: quella della Polizia di Stato

venerdì 25 Febbraio 2011 - 13:43

Padre e figlio sono incredibilmente accomunati da due storie molto simili. Il primo morì durante un conflitto a fuoco, il secondo fu ferito sempre nel corso di una rapina in banca ed erano entrambi liberi dal servizio

Quella mattina poteva finalmente rilassarsi. Era il suo giorno libero e doveva solo sbrigare alcune commissioni. Antonino D’Angelo, 25 anni, sovrintendente in servizio alla Questura di Messina, non aveva fretta quel giorno. Il lavoro in Polizia era duro ma gli piaceva e lo svolgeva con passione. I turni erano pesanti ma i rapporti con i colleghi erano ottimi e godeva della stima dei superiori. Così quella mattina, era il 21 novembre 1980, si muoveva senza fretta quasi a volersi godere delicatamente quelle ore di libertà. In testa un solo pensiero: il momento in cui sarebbe tornato a casa dalla giovane moglie e dai piccoli Gaetano e Giovambattista, quest’ultimo ancora in fasce.(nella foto Fortunata Berlinghieri fra i figli Giovambattista e Gaetano).

Ma il destino era in agguato, un destino atroce che lo avrebbe strappato per sempre alla moglie, a Gaetano e Giovambattista. Il sovrintendente D’Angelo si trovava nella zona di Provinciale. Improvvisamente udì delle detonazioni. Erano colpi di pistola, il suo orecchio esperto non aveva avuto dubbi. Era libero dal servizio ma non ebbe un attimo di tentennamento. Un poliziotto è sempre pronto ad intervenire anche quando non indossa la divisa e D’Angelo si catapultò verso il punto da cui aveva sentito giungere gli spari. Capì subito quello che era successo. Alcuni banditi avevano tentato di rapinare la Cassa di Risparmio di piazza Palazzotto ed avevano sparato alla guardia giurata che aveva provato a fermarli. L’uomo era per terra sanguinante e si dimenava in una pozza di sangue. D’Angelo corse vero di lui impugnando la pistola d’ordinanza. Prima di pensare ai rapinatori bisognava soccorrere quell’uomo che rischiava forse di morire. Il sovrintendente si chinò sulla guardia per accertarsi delle sue condizioni ma fu un gesto fatale. Il ferito, in evidente stato confusionale, lo scambiò per uno dei rapinatori e gli sparò da mezzo metro.

I proiettili colpirono il poliziotto in pieno petto ed al volto e non gli lasciarono scampo. Il sovrintendente Antonino D’Angelo morì nel modo più assurdo. Lui, che aveva fatto una ragione di vita la lotta al crimine, era stato scambiato per un rapinatore ed ucciso. Una morte che non si può spiegare ad una giovane vedova e a due bambini uno dei quali del padre avrà solo un fioco ricordo, l’altro nemmeno quello. Ma quel gesto è valso più di mille discorsi a loro che non avrebbero più avuto un padre che poteva spiegare cos’è bene e cos’è male. Quello slancio di generosità, di lealtà, di attaccamento alla divisa ed allo Stato trasmise a Gaetano e Giovambattista quei valori che Antonino difendeva giorno dopo giorno con la passione di un poliziotto vero, di un uomo vero. Crescendo Gaetano non ebbe dubbi. Lui che già così piccolo era diventato capofamiglia, avrebbe seguito le orme di papà. La mamma tirò su da sola i due ragazzi con mille sacrifici e l’idea di un figlio in Polizia se da un lato l’inorgogliva dall’altro la preoccupava. L’idea di dover attendere con ansia il suo ritorno a casa, la paura nelle notti di servizio, il ricordo del marito ucciso dal fuoco amico la prendevano alla gola come una tenaglia.

Ma era Gaetano a dover decidere e così ben presto divenne l’agente D’Angelo. Come il padre arrivò presto alla Questura di Messina e fu assegnato alla sezione Volanti diretta dal dirigente Mario Ceraolo. Un compito impegnativo, dover pattugliare la città in lungo e in largo, prevenire i reati, catturare i malfattori, effettuare il primo intervento nei casi più delicati, dagli omicidi alle rapine. Ma anche l’agente D’Angelo, come il padre molti anni prima, interpretava quel lavoro come una missione e quasi non sentiva la fatica se c’era da soccorrere qualcuno in difficoltà. Ma i disegni del destino sono imperscrutabili, le linee della vita s’intrecciano come in un grafico impazzito e a volte si sovrappongono e poi si allontanano ancora forse per rincontrarsi. Il 5 maggio 2007 ad Itala era una splendida giornata di sole. Gaetano D’Angelo aveva deciso di approfittare della mattinata libera per recarsi in banca. Pochi minuti dopo accade qualcosa. L’agente si accorge della presenza di un giovane che indossa un cappellino ed una calzamaglia sul volto. Il malvivente estrae un taglierino e lo punta alla gola di una cassiera. D’Angelo non interviene subito, con grande sangue freddo attende che il rapinatore allontani il coltello dalla faccia dell’impiegata. Poi si fionda sul malvivente, cerca di immobilizzarlo ma il giovane sguscia da tutte le parti. Il rapinatore impugna il taglierino e comincia a colpire ripetutamente l’agente in pieno volto. Una, due, tre volte finchè D’Angelo è costretto ad allentare la presa. Il bandito non contento afferra una spranga di ferro e continua a colpire il poliziotto. Ma D’Angelo non molla. Benché ferito ed in preda a dolori lancinanti esce in strada e si lancia all’inseguimento del giovane che è costretto a disfarsi della refurtiva. Sempre braccato dal poliziotto il rapinatore si nasconde in una casupola sulla spiaggia di Itala dove lo bloccano i carabinieri nel frattempo allertati dagli impiegati della banca. Gaetano D’Angelo rimane ricoverato per diversi giorni al Policlinico.

Ha il volto devastato dalle coltellate ma non sente il dolore. Sa solo una cosa: ha fatto in pieno il suo dovere di poliziotto, ha onorato quella divisa come ventisette anni prima aveva fatto suo padre. Dice di non sentirsi un eroe e che rifarebbe ancora quel gesto se ce ne fosse bisogno. Su questo non c’è dubbio e qualche anno dopo anche Giovambattista finisce per indossare la divisa che fu di papà Antonino e che ora è del fratello Gaetano. Per i D’Angelo la Polizia è una malattia di famiglia. Una malattia fatta di valori forti e di passione che nessuna medicina potrà mai guarire.

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