E’ ad uno snodo cruciale l’inchiesta per l’omicidio dei fratelli Paolo e Carmelo Giacalone, giustiziati a colpi di pistola calibro 7.65 alle 13.15 dell’11 aprile 2006, davanti la cornetteria di Largo Seggiola di cui erano titolari.
Il pm della Dda, Fabio D’Anna, ed il sostituto procuratore Francesca Ciranna hanno siglato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, notificato ai 5 indagati. Cioè il presunto assassino, Francesco Comandè, poi il cugino Nicola Rizzitano, 24 anni; la convivente di Comandè, Giuseppina Bombaci, 34 anni, che ha mentito agli investigatori sull’orario di rientro a casa del compagno, quel giorno, e su come era vestito; lo slavo Edo Dzemaili, 29 anni, che lavorava nella cornetteria dei Giacalone e Giampaolo Restuccia, 38 anni,che hanno negato agli investigatori la lite, avvenuta qualche giorno prima dell’omicidio, tra Comandè e Paolo Giacalone. Gli ultimi 4 devono rispondere di favoreggiamento.
Comandè deve inoltre rispondere di intestazione fittizia di beni. Avrebbe intestato fittiziamente alla convivente Giuseppina Bombaci la coop -Euro Boys-, una società per servizi di portierato e pulizia. Contro il sequestro preventivo pende attualmente il giudizio del Tribunale del Riesame, chiamato a decidere dell’appello presentato dai legali di Comandè, Daniela Chillè e Rosario Scarfò. Gli altri avvocati impegnati nelle difese sono Salvatore Silvestro e Pucci Amendolia.
Proprio alla Euroboys è legato il movente del delitto. I due fratelli -obiettivo del killer era Paolo, il fratello Carmelo ha pagato il solo fatto di essere testimone oculare dell’esecuzione – sono stati uccisi mentre si trovavano davanti alla -Caffetteria 2000-, in corso di ristrutturazione.
Erano da poco passate le 13 di un’assolata giornata pre pasquale quando due uomini in sella ad un grosso ciclomotore sono sfilati davanti la cornetteria ed hanno aperto il fuoco contro Paolo, che seguiva i lavori in corso, all’interno del locale, e Carmelo, che si trovava poco lontano. A sparare è stato Francesco Comandè, che ha aperto il fuoco, secondo gli investigatori della Squadra mobile, diretti da Marco Giambra, per a rancori personali tra Comandè, ritenuto dagli inquirenti vicino al clan mafioso Ventura di Camaro, e il cugino Paolo, personaggio di spicco del clan di Giostra. Rancori nati dopo una lita avvenuta alla sala giochi dove Comandè assicurava la vigilanza. Il ragazzo, per sanare alcuni contrasti insorti tra lui ed un malavitoso di Giostra, aveva chiesto aiuto al cugino, che gli ha risposto di sbrigarsela da solo. All’ennesima lite, avvenuta via telefono la mattina dell’11 aprile, Comandè ha deciso di vendicarsi.