E’ giunto alle ultime battute il processo in corso a Palermo, che vede sul banco degli imputati anche il Presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, ed il rais della sanità siciliana, Michele Aiello.
Il Procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone, ha chiesto la condanna a 8 anni di carcere per il Governatore, coinvolto
nella vicenda delle talpe in Procura, che lo vede accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione del segreto d’ufficio.
Chiesti anche la condanna a 18 anni per il manager della sanità privata, Michele Aiello, che deve rispondere di associazione mafiosa, 9 anni per il maresciallo del Ros dei carabinieri, Giorgio Riolo, accusato di concorso in associazione mafiosa e 5 anni per il radiologo Aldo Carcione, imputato di concorso in rivelazioni di segreto d’ufficio.
-Questa requisitoria è stata basata su rigorose valutazioni delle risultanze processuali-. Lo ha detto il Procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone, prima di formulare le richieste di pena nel processo alle cosiddette -talpe- della Dda.
La sua presenza in aula, al fianco dei pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, è stata letta come la volontà di sostenere le loro valutazioni sui profili della contestazione di reato mossa nel processo al governatore Cuffaro, dopo la divergenza sorta in Procura nei giorni scorsi.
Pignatone ha preso la parola alla fine della requisitoria, dicendo di voler pronunciare -poche battute conclusive-. -Questo è stato definito il processo alle talpe- ha detto- ma questa definizione è riduttiva. Questo processo ha svelato alcuni aspetti strategici e vitali per Cosa nostra, facendo emergere il coacervo di interessi illeciti che hanno accomunato mafiosi, imprenditori, professionisti ed esponenti delle istituzioni, compresi rappresentanti politici.Mai, come in questo processo, è stato ricostruito in un’aula giudiziaria il fenomeno delle fughe di notizie, rivelando un panorama desolante di sistematico tradimento anche da parte di esponenti degli apparati investigativi-.
Il Presidente Cuffaro, lo ricordiamo, ha annunciato che si dimetterà nel caso venga condannato.
Poi, in riferimento alla fuga di notizie attribuita al governatore siciliano sull’esistenza di intercettazioni a casa del -boss- di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, che nel 2001 portò alla rimozione della microspia e alla neutralizzazone dell’indagine, Pignatone ha sottolineato la -gravità della condotta di Cuffaro, che in quei giorni veniva eletto Presidente della Regione siciliana- (24 giugno 2001 n.d.r.).
L’ ultima considerazione Pignatone l’ha dedicata al comportamento processuale degli imputati perché -non è stato possibile ricostruire l’intera catena delle rivelazioni delle notizie riservate e, dunque, non è stato possibile accertare se vi era una fonte interna alla Procura e chi era quella persona in diretto collegamento con Roma con cui Cuffaro commentava l’esito delle indagini- (