La rivolta di Reggio Calabria del 1970-71 raccontata nel film -Liberarsi: figli di una rivoluzione minore” di Salvatore Romano

La rivolta di Reggio Calabria del 1970-71 raccontata nel film -Liberarsi: figli di una rivoluzione minore” di Salvatore Romano

La rivolta di Reggio Calabria del 1970-71 raccontata nel film -Liberarsi: figli di una rivoluzione minore” di Salvatore Romano

lunedì 03 Gennaio 2011 - 08:07

La pellicola sarà proiettata stasera presso l'auditorium santa Maria Alemanna

Si svolgerà stasera, 3 gennaio 2011 con inizio alle 20.20 nell’auditorium della chiesa di santa Maria Alemanna, la proiezione del film “Liberarsi: figli di una rivoluzione minore” di Salvatore Romano. Il film racconta la storia di Pietro Lo Giudice, un ragazzo che, solo con la morte della madre scopre che suo padre era tra le vittime degli scontri esplosi a Reggio Calabria nel 1970, quando il governo decise di assegnare il capoluogo della regione a Catanzaro. La rivolta provocò cinque morti: tre civili e due agenti. Molti politici locali, ad esclusione del Partito comunista, la appoggiarono, in particolare il missino Ciccio Franco, divenuto poi senatore. Dopo il film ci sarà l’incontro con il regista Salvatore Romano.

I fatti della rivolta di Reggio Calabria

Con l’espressione Fatti di Reggio o Moti di Reggio si indica la sommossa popolare avvenuta a Reggio Calabria dal luglio del 1970 al febbraio del 1971, in seguito alla protesta dovuta alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro con l’istituzione degli enti regionali.

Inizialmente il malcontento popolare fu trasversale a livello politico (ad esclusione del Partito Comunista Italiano, subito dissociatosi), ma in una seconda fase i movimenti di destra, ed in particolare il Movimento Sociale Italiano, assunsero un ruolo di primo piano. Ciccio Franco, esponente missino, si appropriò del «boia chi molla!» di dannunziana memoria e ne fece uno slogan per cavalcare la tigre della protesta dei reggini per opporsi alla scelta di Catanzaro come capoluogo, indirizzandola in senso antistatale e neofascista.

Vero motore organizzativo e politico della protesta furono il Comitato D’Azione (i cui principali esponenti erano il già citato Ciccio Franco, l’ex comandante legato ai servizi segreti americani Alfredo Perna, l’armatore repubblicano Amedeo Matacena e l’industriale del caffè Demetrio Mauro, finanziatori che -Davano i soldi per le azioni criminali, per la ricerca delle armi e dell’esplosivo-[2]) e il Comitato unitario per Reggio capoluogo (guidato dal sindaco democristiano Pietro Battaglia e da altri esponenti democristiani e missini).

I -moti- di Reggio Calabria vanno inquadrati all’interno dei rapporti di forza esistenti, all’epoca, all’interno del governo nazionale, espressione di una coalizione che comprendeva la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista ed altri partiti minori. Per la Calabria i parlamentari capaci di esercitare un peso rilevante in sede di Governo centrale erano : Giacomo Mancini (socialista) ex-ministro dei lavori pubblici e segretario del partito socialista e Riccardo Misasi, democristiano, ministro della pubblica istruzione. Entrambi erano di Cosenza. A Catanzaro c’era Antoniozzi, DC. Reggio era rappresentata in parlamento, per la coalizione di governo, da Sebastiano (Nello) Vincelli, DC, oggi diremmo un -peone-, di certo di peso politico infinitamente inferiore a Mancini e Misasi. Era quindi evidente che, nella scelta di quella che venne eufemisticamente definita -localizzazione puntuale- della sede del capoluogo di regione – scelta che avvenne a Roma, in sede di governo nazionale – la voce di Cosenza e Catanzaro fosse più forte e indubbiamente più ascoltata.

I fatti degli anni successivi avrebbero reso visibile a tutti la logica delle scelte :1) la Università della Calabria a Cosenza; 2) la sede del capoluogo di regione a Catanzaro ;3) a Reggio, la sede del Consiglio Regionale) .

Il governo, presieduto dal democristiano Emilio Colombo, negò qualunque negoziazione con i rappresentanti della protesta (in alcuni casi collusi con la ‘ndrangheta, ad esempio Vito Silverini, in stretti rapporti con il malavitoso Giacomo Ubaldo Lauro]), e, oltre a provvedere all’invio di contingenti militari, iniziò una sistematica opera di demolizione mediatica della rivolta. I mezzi di comunicazione, infatti, dopo un iniziale interessamento, limitarono notevolmente la cronaca riguardo la rivolta di Reggio e in ogni caso descrissero come -pretestuoso pennacchio-, ottenere il capoluogo da parte dei Reggini; la rivolta, del resto, assunse subito caratteri violenti, con la strage di Gioia Tauro.

Il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro una bomba fece deragliare il treno -Treno del Sole-, Palermo-Torino, provocando 6 morti e 54 feriti, a dimostrazione della deriva terrorista che aveva assunto la rivolta. Il 26 settembre cinque -anarchici della Baracca- morirono in un misterioso incidente stradale mentre si recavano a Roma a consegnare materiale di denuncia, mai ritrovato.

Di conseguenza per mesi la città fu barricata, spesso isolata, a tratti paralizzata dagli scioperi e devastata dagli scontri con la polizia e gli attentati dinamitardi. Vennero interrotte le comunicazioni ferroviarie arrivando fino alla distruzione delle apparecchiature della stazione di Reggio Calabria Lido. Alla fine della rivolta si contarono sei morti, e migliaia di denunce: agli atti del Ministero degli interni, risultarono, tra il 20 luglio 1970 e il 21 ottobre 1972, ben 44 gravi episodi dinamitardi, di cui 24 a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie.

La rivolta si concluse solo dopo 10 mesi di assedio con l’inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città. Oltre alla forza, per la soppressione della rivolta si ricorse anche a mediazioni e compromessi politici (il cosiddetto -Pacchetto Colombo-) che portarono ad una insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria (la giunta regionale a Catanzaro, il consiglio a Reggio Calabria) e all’insediamento nel territorio reggino di apparati produttivi che non furono mai realizzati o furono subito oggetto di speculazioni da parte della ‘ndrangheta (es. i poli industriali di Saline Joniche e di Gioia Tauro).

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