Da bullo a cyberbullo: fermati in tempo i messaggi online

Da bullo a cyberbullo: messaggi online bloccati in tempo

Iria Cogliani

Da bullo a cyberbullo: messaggi online bloccati in tempo

sabato 05 Ottobre 2024 - 16:00

Il caso di un ragazzino che da bullo stava diventando cyberbullo e quello di due bambini vittime del bullismo dei loro compagni

MESSINA – Il cyberbullismo, come il bullismo, è un fenomeno complesso. Non per caso Mario Venuto, commissario capo della Polizia, sottolineava che in questi campi «la responsabilità è collettiva». Il cyberbullismo è anche materia conosciuta da tempo in una agenzia educativa di Messina. Qui opera una pedagogista con oltre 15 anni di esperienza, che racconta di aver incontrato, in varie fasi, sia “vittime” sia “attori”.

Ma partiamo dall’inizio. «Il cyberbullismo si sviluppa attraverso comportamenti di diverso grado di intensità ed è estremamente invasivo». Tiene dentro sia condotte a rischio sia reati; lo ricorda il glossario dei comportamenti devianti online prodotto dal Centro Europeo di Studi Nisida, che cita un bel po’ di situazioni, dal baiting (che prende di mira utenti, nello specifico principianti, in ambienti virtuali di gruppo come chat, game o forum, facendoli diventare oggetto di discussioni aggressive e violente attraverso insulti e minacce verbali, prendendo spunto da minime occasioni) al sexting (che consiste nell’invio di fotografie e/o messaggi di testo sessualmente espliciti, attraverso telefoni cellulare, ma anche tramite mezzi informatici differenti).

Un caso messinese

Il caso raccontato dalla pedagogista è quello di un ragazzo che da bullo “tradizionale” – in classe o nei corridoi della scuola – stava diventando anche “cyberbullo”. È stato fermato in tempo, un attimo prima che quei messaggi di violenza verbale, già pronti nella memoria del suo cellulare, trovassero la strada per il grande mondo del web.

«Per questo ragazzino – dice il direttore e responsabile educativo dell’Istituto – gli atteggiamenti di rivalsa sui più deboli o di minacce e, addirittura, di violenza verbale, fanno parte del codice di comportamento nei contesti di riferimento. È mancata nel suo vissuto la famiglia e la presenza di solidi punti di riferimento: i genitori sono separati e lui è stato abbandonato a sé stesso, in un quartiere nel quale alla povertà materiale si aggiunge spesso una povertà culturale».

«Monitorare quotidianamente l’attività “virtuale” è presupposto fondamentale», aggiunge la pedagogista. «Abbiamo constatato, infatti, che il cyberbullismo amplifica in modo esponenziale il numero di potenziali o reali persecutori, com’è tipico dell’universo digitale che non ha limiti di tempo e di spazio. Per altro verso, riesce a enfatizzare e incentivare le “cattive” condotte, perché consente l’anonimato dietro una tastiera o un monitor. Il risultato è che, mentre il bullismo rimane un episodio limitato che può essere arginato e risolto, il cyberbullismo coinvolge platee tendenzialmente illimitate, composte “a catena”, capaci di raggiungere soggetti anche totalmente estranei fra loro, permettendo di “trascendere” con frasi aggressive e violente anche a coloro che “dal vivo” non ne avrebbero il coraggio. Il cyberbullismo è molto più pervasivo, invischiante, difficile da arginare».

Un percorso individuale

Il tema, allora, è: “cosa fare?”, ma anche se quello che si può fare riesca o meno a portare validi risultati. La risposta del direttore è un doppio “sì”. “Sì”, si può fare molto, attraverso un percorso educativo che «duri il tempo necessario per insegnare modalità diverse nelle relazioni e nell’uso degli strumenti tecnologici». E “sí”, gli esiti possono essere davvero soddisfacenti.

Le parole chiave sono: «educazione, consulenza e aiuto psicologico, valorizzazione delle qualità, delle capacità e delle potenzialità del “bullo”, ma soprattutto la possibilità di farlo vivere in ambienti diversi “sani”, a contatto con persone e coetanei che non fanno ricorso alla violenza – verbale, fisica o virtuale».

«Si tratta di osservare e dare attenzione ai nostri ragazzi quotidianamente – gli fa eco la pedagogista – per garantire loro un autentico dialogo e crescita individuale. La vera risposta sta nell’educazione più che nella semplice o limitata repressione dei comportamenti. Desideriamo che i bulli per primi imparino ad esprimere la propria individualità nella complessità dell’animo umano, che vadano oltre il “copia, incolla e trasmetti” un insulto, un video offensivo, una minaccia, una violenza. A volte ci riusciamo, a volte no. Ma la strada maestra è quella di promuovere uno spirito critico nelle attuali generazioni di giovani».

Intanto, sul caso trattato c’è ancora molto da fare. «Via via che il ragazzo proseguirà la frequentazione della scuola – conclude il direttore – capiremo meglio quanto si sia allontanato dalle sue “abitudini” da bullo. Ma non bisogna demordere».

Vittime a 8 anni

Non bisogna demordere neanche nell’assistenza alle “vittime”: la preoccupazione del direttore in questo momento è, tra l’altro, per due bambini che, attraverso numerosi colloqui e un’osservazione quotidiana, gli educatori hanno scoperto essere vittime di bullismo.

A soli 8 e 9 anni hanno già subito ostracismi e “persecuzioni”. «Andavano a scuola con un abbigliamento trasandato… senza zaini e i materiali richiesti, penne e quaderni, che invece i compagni possedevano… senza la dovuta preparazione già raggiunta dal resto della classe, dalla matematica alla grammatica. E ciò è bastato a farli entrare nel “mirino” di un gruppo di ragazzini». I due bambini hanno sofferto molto, riuscendo a raccontare la loro esperienza alla psicologa d’istituto con grande difficoltà e solo dopo un po’ di tempo.

La soluzione? «C’è un aspetto pratico. Nessuno si prendeva davvero cura di questi bimbi; ora invece godono delle giuste attenzioni. E stanno rapidamente colmando le proprie lacune nell’ambito dei programmi scolastici, si possono vestire in modo adeguato, hanno ciò che serve loro per stare in classe a “pari merito” dei compagni».

E c’è un aspetto psicologico. «Continuiamo ad affiancarli, ad ascoltarli, a sostenerli, sia per far sì che quelle brutte esperienze vissute in anni di formazione importanti non abbiano strascichi, sia perché i “bulli” potrebbero continuare ad agire, in linea con quanto fatto in passato, indipendentemente dalle modificate condizioni di vita dei due bambini».

“Segnali” e soluzioni

«I segnali che qualcosa non va bene spesso ci sono», spiega la pedagogista. «Se un bambino o un ragazzo manifesta un disagio, se si sospetta qualcosa, se si notano comportamenti autolesionistici o una maggiore difficoltà nelle relazioni, se questi bambini o ragazzini preferiscono rimanere chiusi in sé stessi per ore, se si isolano dagli altri, è decisamente il caso di verificare e approfondire le cause di queste difficoltà che pian piano emergono, perché potrebbero essere vittime di bullismo o cyberbullismo».

Ma più in generale, al di là dei singoli casi, «sarebbe opportuno realizzare sportelli anche “virtuali”, assieme a vere campagne di educazione e sensibilizzazione mirate a prevenire il fenomeno”, capaci di garantire l’anonimato, nei quali i ragazzi “testimoni” possano segnalare situazioni a rischio, verificando sempre la natura di ogni segnalazione e la sua pregnanza. Infatti, il bullismo e, ancora di più, il cyberbullismo vivono e si propagano grazie all’accondiscendenza del gruppo, accondiscendenza che nasce spesso dalla paura, dal timore di diventare a propria volta vittime, dal timore di essere emarginati, dal timore di perdere gli amici… Nel mondo dei ragazzi c’è chi sa e tace: bisogna aiutarlo a “parlare” senza che, per questo, debba perdere i propri riferimenti».

In evidenza foto di kp yamu Jayanath da Pixabay.

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