Dal caso giudiziario al perenne problema per i ritardi nelle visite mediche, la soluzione è tornare alla centralità del Servizio sanitario nazionale
di Marco Olivieri
MESSINA – L’ultimo grido d’aiuto è di una madre: “Mia figlia, con problemi respiratori e sindrome di Down, non può aspettare il 2025 per una visita diabetologica”. E in più questo giornale ha sostenuto la mobilitazione di un gruppo di donne per le visite oncologiche cancellate all’ultimo momento. In una situazione di difficoltà enorme della sanità pubblica, tra carenza di personale e mille elementi critici a livello regionale e nazionale, Messina e l’isola sono state scosse dalla vicenda giudiziaria del Centro “Nemo Sud“.
L’inchiesta farà il suo corso ma il tema politico è la necessità, così come nelle liste d’attesa, che si dia priorità alla sanità pubblica e al Servizio sanitario nazionale. Cosa facile da scrivere ma che richiede un lavoro politico e culturale strutturale contro la strisciante privatizzazione della cosa pubblica avvenuta dagli anni Ottanta in poi. E contro una mentalità manageriale che non metta al centro i pazienti e le loro necessità.
La necessità di ambulatori aperti dal lunedì alla domenica per fronteggiare l’emergenza liste d’attesa
In attesa che decolli finalmente la cosiddetta sanità territoriale, ci auguriamo che diventi concreta la soluzione prospettata dal commissario dell’Asp di Messina Giuseppe Cuccì. Ovvero. l’apertura di servizi e ambulatori, dal lunedì alla domenica, dalle 8 alle 20, per abbattere le liste d’attesa.
Quando si parla di tasse, in questo Paese, spesso si dimentica di ricordare l’importanza di finanziare settori chiave come sanità e istruzioni pubbliche e le politiche sociali. Il tutto senza dimenticare l’eterna questione merdionale e le discrepanze tra nord e sud in termini di servizi e qualità della vita.
C’è chi rinuncia alle cure sanitarie ma non bisogna rassegnarsi all’ingiustizia
Nel frattempo, nel 2023, il 42% dei pazienti con redditi più bassi, fino a 15 mila euro, è stato costretto a rimandare o a rinunciare alle cure sanitarie perché, non avendo risposte nell’immediato dal Servizio sanitario nazionale, non poteva sostenere i costi della sanità privata. Il dato emerge dal 21esimo Rapporto ‘Ospedali & Salute” di Aiop (Associazione italiana ospedalità privata), in collaborazione con il Censis. E Il 36,9% degli italiani ha rinunciato ad altre spese per sostenere quelle sanitarie (fonte la Repubblica).
Che fare, dunque, per non accettare quello che sembra un inarrestabile declino della sanità pubblica e dell’accesso gratuito alle cure? Non smettere di tenere alta l’attenzione, di sollevare i casi e di chiedere alla politica un salto di qualità nelle decisioni e nei programmi. Dopo il Covid “nulla sarà come prima”, si era detto. Così non è stato. E siamo ancora qui a difendere diritti e priorità che dovrebbero essere patrimonio di una nazione civile. Non rassegniamoci all’ingiustizia.