Archiviata la sentenza che conferma l’ergastolo per Antonio De Pace, continua la lunga strada del lavoro educativo e culturale per la parità di genere
di Marco Olivieri
Ieri è stato il giorno della sentenza. La sentenza della Corte d’Appello d’Assise di Reggio Calabria che ha confermato l’ergastolo per Antonio De Pace. L’infermiere che nel marzo 2020 strangolò la sua compagna a Furci Siculo. Archiviata dunque la sentenza sul femminicidio di Lorena Quaranta e in precedenza la Giornata per eliminare la violenza sulle donne, pensiamo ad azioni educative, culturali e sociali quotidiane nella società.
Ma prima ci sono ancora dei pensieri per Lorena Quaranta, che avrebbe voluto curare i pazienti come dottoressa. “Con questa sentenza, non solo si chiude giudiziariamente la dolorosa vicenda di Lorena Quaranta, ma è stato evitato il rischio, pericolosissimo, che nei giudizi per femminicidio potessero entrare argomentazioni pericolose, quali il riconoscimento delle attenuanti generiche per il timore del contagio da covid a favore dell’imputato”. Così la senatrice di Italia Viva Dafne Musolino, che sull’argomento aveva presentato un’interrogazione al ministro Nordio. E la senatrice del Partito democratico Valeria Valente ha dichiarato: “Non sono solita commentare le singole sentenze, ma la decisione della Corte di appello di Reggio Calabria, andando contro la decisione della Cassazione che aveva concesso al reo le attenuanti della condizione psicologica dovuta allo stress da Covid, rende giustizia alla vittima ed è destinata a restituire speranza alle donne nella battaglia contro la violenza di genere. Concedere le attenuanti dello stato emotivo per un delitto così efferato come un femminicidio, oltre che non rendere giustizia a Lorena, ai suoi genitori e alla sua famiglia, avrebbe creato un pericoloso precedente”.
Serve un profondo lavoro educativo con solide basi politiche e sociali
E ancora: “Più che di celebrazioni, le donne che combattono contro la violenza maschile hanno bisogno di poter confidare nella giustizia. Anche le sentenze possono contribuire al cambiamento culturale indispensabile per liberare le donne da un modello sociale basato sulla supremazia maschile. E segnato da relazioni personali fondate sul possesso”. Il pensiero della senatrice è stato fatto proprio dall’Udi, Unione Donne in Italia.
E proprio sulla battaglia culturale e un radicale lavoro educativo bisogna insistere. Scuola, università, luoghi di lavoro, spazi associativi devono essere permeati di una cultura della parità di genere. Un’educazione affettiva e sentimentale che va inserita nel Welfare, nello Stato sociale, con l’idea di un benessere materiale e mentale nel segno di un ruolo centrale di psicoanalisti ed educatori.
Serve una rivoluzione culturale e sociale dalle solide radici
Per fare questo, contro ogni sottocultura del possesso, occorre una lunghissima operazione educativa, con solide basi politiche e sociali. E tenendo sempre in considerazione, mentre è nata la fondazione dedicata a Giulia Cecchettin, la lezione di Gaber e Luporini: “Forse un uomo che allena la mente sarebbe già pronto ma a guardarlo di dentro è rimasto all’ottocento”.
Esatto, guardiamoci di dentro per vedere quanto siamo arretrati in un mondo che ancora non considera tabù la guerra. Guardiamoci in profondità e acceleriamo, ognuno nel proprio ruolo, processi di cambiamento che richiedono tempi lunghi. E tanta costanza e impegno. Per attecchire, una rivoluzione culturale non ha bisogno di fuochi fatui ma di abnegazione, giorno per giorno. Di solide radici, annaffiando la pianta del futuro con acqua non contaminata e spirito davvero libero. Autentico.