L’incontro “Cronisti alla ricerca della verità possibile”, promosso dall’Ordine dei giornalisti e patrocinato dall’Ordine degli avvocati di Messina, dedicato ai cronisti come Beppe Alfano
MESSINA – Tutela delle fonti, verifica della notizia, ricerca della verità, presunzione di innocenza cosiddetta “rafforzata”, difficoltà e rischi per il mondo dell’informazione oggi: sono alcuni degli argomenti trattati in occasione dell’incontro “Cronisti alla ricerca della verità possibile”, promosso dall’Ordine dei giornalisti di Sicilia col patrocinio dell’Ordine degli avvocati di Messina.
L’evento, nella sede ordinistica di via Venezian, è stato dedicato ai giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia ed è iniziato con 30 secondi di silenzio: loro rappresentano ancora oggi un modello di buon giornalismo e uno spunto di riflessione utile ad affrontare le problematiche odierne, alla luce anche delle recenti novità normative. Il decreto Cartabia, infatti, rischia di limitare il diritto di cronaca, soprattutto quella giudiziaria come spiegato da alcuni illustri relatori.
Dopo i saluti istituzionali del consigliere dell’OdG Daniele Ditta e della tesoreria dell’Ordine degli avvocati Aurora Notarianni, è entrato nel cuore degli argomenti il cronista del quotidiano “La Sicilia” Leone Zingales, che ha parlato degli otto colleghi venuti a mancare tragicamente, per volere di Cosa Nostra, e del loro prezioso modo di lavorare e raccontare le organizzazioni criminali in quei tempi così difficili, a cominciare dal primo Cosimo Cristina per finire ad uno dei più noti, Beppe Alfano, ricordato da chi ha lavorato a lungo al suo fianco come Cesare Giorgianni, Salvatore Pernice e Sergio Magazzù.
Il collega Giuseppe Lo Bianco ha trattato il tema della tutela delle fonti e verifica della notizia, che sta alla base della routine quotidiana dell’attività giornalistica e spesso non è facile da rispettare in modo virtuoso per la velocità con la quale si consumano le informazioni, specie per la stampa online: “Il decreto che contiene un fine nobile – ha detto Lo Bianco – per quanto riguarda la nostra professione ci riporta indietro per gli elementi introdotti, ad esempio quello che vieta alle forze dell’Ordine di comunicare i nomi degli arrestati”. Se chi indaga non fornisce elementi per la cronaca infatti “si rischia davvero di non fare un buon servizio – ha aggiunto Daniele Ditta”.
Spesso infatti oggi i comunicati stampa ufficiali devono essere vagliati dal procuratore: ciò non rappresenta una garanzia per i giornalisti che possono e devono poter valutare da soli l’opportunità di dare o non dare alcune informazioni. Sulle fonti e sulla ricerca della verità, l’approfondimento di Aurora Notarianni, dal punto di vista dell’avvocato: “La difesa non deve mai fare un torto alla verità – ha spiegato la tesoreria dell’Ordine – soffermandosi poi sulla funzione di controllo dei giornalisti, che sono cani da guardia della democrazia, sul delicato ruolo che rivestono nel dibattito fra riservatezza e diritto dell’informazione con il monito a chi informa di affidarsi alle fonti attendibili ma ancora di più – là dove è possibile – a quello che vedono personalmente. Da qui l’importanza di partecipare ai processi che si raccontano evitando le visioni di parte, anche degli stessi avvocati”.
L’avvocato Notarianni ha poi acceso il dibattito dando un punto di vista diverso sulle nuove indicazioni che investono la presunzione di innocenza: “Non riscontro un rischio concreto per la libertà di informazione, rischio che invece può arrivare piuttosto dalla strumentalizzazione che qualche procura può mettere in atto, negando le giuste informazioni a cui i cronisti devono e possono comunque attingere.
Dovremmo indignarci piuttosto per altre storture legislative che incidono pesantemente sul lavoro giornalistico e la libertà di informazione”, ricordando che è ancora prevista la reclusione per i cronisti e le richieste di risarcimenti milionari con denunce temerarie che rappresentano il vero rischio-bavaglio. “Oltre la mafia che uccide i giornalisti che oggi ricordiamo in questa sede – ha concluso – c’è il metodo mafioso che ne uccide altrettanti in modo diverso e subdolo e fra queste proprio le querele non vincolate alla pubblicazione di una eventuale rettifica”.