Dedicato a tutti gli illusi: “Io, Don Chisciotte” stupisce il Teatro Vittorio Emanuele

Dedicato a tutti gli illusi: “Io, Don Chisciotte” stupisce il Teatro Vittorio Emanuele

Emanuela Giorgianni

Dedicato a tutti gli illusi: “Io, Don Chisciotte” stupisce il Teatro Vittorio Emanuele

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sabato 18 Gennaio 2020 - 08:12

Don Chisciotte siamo tutti noi quando crediamo in un sogno, per quanto difficile. Questo è il cuore dello spettacolo “Io, Don Chisciotte”, diretto e coreografato da Fabrizio Monteverde, con il Balletto di Roma, tratto dal Don Chisciotte di Corrado D’Elia. In scena al Teatro Vittorio Emanuele venerdì 17 gennaio alle 21,00 e sabato 18 gennaio alle 17,30.

A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,
a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche
agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,
ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti.”

Su una musica sempre più incalzante e la luce che pian piano affievolisce risuonano queste parole. Colpiscono, scuotono, emozionano; sembrano rivolgersi ad un interlocutore preciso e quell’interlocutore è ciascuno di noi, lì presente, ciascuno di noi che per un sogno ha lottato, anche quando non si è avverato, che a volte si è sentito un po’ folle, o così è stato appellato, ma non ha smesso di crederci.

Sulla scena compare, illuminato da un’unica grande rossa luce, un Don Chisciotte coperto da pochi stracci, chiuso su se stesso, circondato da libri e accompagnato dalla sua vecchia macchina. È il protagonista di “Io, Don Chisciotte”, una grande celebrazione dei sogni, della forza di credere in quei valori o in quelle idee che, in un mondo sempre più disilluso, appaiono becere illusioni.

Lo spettacolo è diretto e coreografato da Fabrizio Monteverde, con il Balletto di Roma, la direzione artistica di Francesca Magnini e la voce di Stefano Alessandroni a recitare il passo “A tutti gli illusi”, tratto da Don Chisciotte, diario intimo di un sognatore, di Corrado D’Elia, regista, attore e drammaturgo, da cui lo spettacolo è ispirato. In scena al Teatro Vittorio Emanuele venerdì 17 gennaio alle 21,00 e sabato 18 gennaio alle 17,30.

Fabrizio Monteverde è uno dei coreografi più apprezzati d’Italia, da sempre attento conoscitore della letteratura e del teatro e sensibile creatore d’arte a partire da tali suggestioni. Aveva già collaborato, nel 2014, con il Balletto di Roma per “Il Lago dei Cigni ovvero il Canto”, dichiarando al suo termine di ritirarsi dalle scene; ma torna, oggi, con grande successo, grazie all’ invito del direttore artistico del Balletto di Roma Francesca Magnini e del Direttore Generale Luciano Carratoni, per dare inizio ai festeggiamenti dei 60 anni del Balletto.

Torna per raccontare quel cavaliere errante che ha tanto a cuore, quel hidalgo spagnolo per cui non vi è distinzione tra sogno e realtà, per cui il mondo dei libri esce dalle pagine e prende vita; e lo fa con degli esecutori eccezionali, dalla bravura sorprendente e capace di catalizzare tutte le attenzioni. La potente teatralità della storia, a volte caricata ed esagerata, si rispecchia pienamente nei passi dei danzatori del Balletto di Roma. La grande tecnica e precisione permette loro di spaziare da uno stile all’altro con versatilità, risultando sempre impeccabili e mostrando chiaramente allo spettatore, anche qualora estraneo alla danza, cosa viene raccontato. È estremamente facile e piacevole seguirli nei loro movimenti veloci, precisi, scattanti, tra il tradizionale e l’innovativo; nei loro repentini spostamenti; dalla leggiadria e dall’eleganza delle coreografie più tecniche e classiche, all’ironia di quelle volutamente più giocose e contemporanee, fino all’incredibilità di un flamenco eseguito con il battere di mani e piedi, creando una sonorità unica e complessa, realizzabile soltanto dall’incredibile sincronia tra i ballerini, della quale un semplice ritardo di un’istante distruggerebbe l’efficacia.

La forza dei danzatori del Balletto di Roma sta proprio nel loro essere gruppo, sono un unico insieme di coordinazione e dinamicità capace di ergersi a vero narratore visivo della storia, raccontando con il linguaggio geometrico dei movimenti e la pulizia delle linee gli episodi vissuti dai protagonisti. Roberta De Simone è Dulcinea ed incarna l’amore, la passione, la delusione. Riccardo Ciarpella è un solitario Don Chisciotte, immerso tra i suoi libri, un viaggiatore, un uomo alla ricerca di se stesso, che non sa accontentarsi di un mondo privo di bellezza. Il suo fedele compagno Sancho Panza, diventa qui una compagna: Azzurra Schena interpreta una giovane Sancho in dolce attesa, il suo pancione stavolta accoglie un bimbo; spicca su tutti e a lei va la mia preferenza assoluta, accompagnatrice razionale di Don Chisciotte, che vorrebbe farlo riflettere a volte mentre altre si lascia coinvolgere totalmente, in grado di rendere delicato, sofisticato ed elegante anche il danzare con una pancia finta.

Ad accompagnarli le musiche originali di Ludwig Minkus, insieme a schiamazzi, urla, sirene, pianti, brusii sui generis per il balletto, ma capaci di travolgere in questo viaggio tra il vecchio e il nuovo che si allontano e spesso si incrociano. I ballerini riescono a creare un contesto classico e più tecnico anche sul suono incombente dell’ambulanza e, allo stesso tempo, a scherzare con tacchi e sorrisi sulle note da repertorio. Ogni oggetto scenico, dalla camicia al bastone, diviene parte integrante della coreografia, un tutt’uno con il corpo di chi danza, non semplice strumento ma parte inseparabile del danzare.

Memorabile e di grande effetto la scena dei mulini a vento, scambiati da Don Chisciotte, come racconta Cervantes, per giganti dalle braccia rotanti, emblema dell’illusione di una realtà irrealistica all’interno della quale è necessario ritrovare un’identità, ormai persa. Monteverde lo realizza con un gioco di luci, ombre e dimensioni che riflette la sagoma di un ventilatore presente sull’angolo del palco.

Il Don Chisciotte di Monteverde, ispirato a quello di Corrado D’Elia, è un cavaliere dei nostri tempi, un po’ solitario e abbandonato a scene buie, rappresentazione della contemporaneità, con il cavallo adesso sostituito da una vecchia automobile, ma ricorda l’originale nei minuziosi richiami, l’esempio, appunto, dei mulini a vento, nei tanti dettagli e nei medesimi ideali. La ragionevole irragionevolezza di Don Chisciotte lo porta a fuggire, la sua è una follia imputatagli da altri, effettiva ma in parte anche voluta, autoimposta, per liberarsi ed allontanarsi, similmente all’Amleto shakespeariano, da questa realtà, smascherandone l’illusione. Il viaggio confuso e caotico del cavaliere errante pone in luce il senno della sua follia, dimostra che nessuno e niente è mai come sembra, il mondo osservato, così come la scena, cambia al cambiare dell’osservatore, particolari e convinzioni variano al variare del punto di vista, non si delinea mai un confine netto tra vero ed immaginario, non si trova un giudice imparziale a separare l’illusione dall’autenticità. L’hidalgo, allora, ricerca la sua di verità, diviene cavaliere non per ottenere onori, ma per combattere ingiustizie e bruttezze dominanti nel suo mondo; pur restando bizzarro e un po’ inaffidabile, dimostra il valore del singolo individuo, delle sue idee, dei suoi valori e delle sue follie anche sulle imposizioni di una società sempre uguale a se stessa.

Da personaggio quasi ‘comico’ la sua interiorità appare, pian piano, sempre più chiara e la sua figura sempre più complessa, la risata si fa amara per la lotta di un uomo contro i soprusi dell’umanità, di un uomo che non vuole arrendersi, neppur dinanzi all’evidenza, in un viaggio in cui racconta la sua nobile pazzia, grazie alla quale esce dal buio della realtà e mostra come la bellezza non appartenga a chi è perfetto ma a coloro i quali possiedono il coraggio di sognare. Abbandona la caverna in cui è sempre vissuto e che ha ritenuto vera, esce fuori e scopre una nuova realtà, la sua. Come lo schiavo platonico, nessuno dà a lui retta o ascolto,ma chi può definire cosa sia vero e cosa no?

Don Chisciotte non crede nella realtà ma crede profondamente nei suoi sogni. Non importa poi se ne esce sconfitto, insegna a tutti noi il coraggio per farlo, troppo spesso lasciato assopito in una parte recondita dell’anima, insegna a combattere per qualcosa di più grande, a difendere i nostri ideali e i nostri valori, anche risultando scellerati o incoscienti. Per questo Monteverde dedica il suo spettacolo agli illusi, qui privati di qualsiasi accezione negativa, a chi sa amare, a chi sa sognare e non vuole arrendersi ad un mondo che non lo rappresenta più.

musiche Ludwig Minkus e Aa.Vv.

coreografia, regia e scene Fabrizio Monteverde
costumi Santi Rinciari
assistenti alle coreografie Anna Manes, Sarah Taylor
light designer Emanuele De Maria
presentazione a cura di Francesca Magnini
produzione Balletto di Roma con il contributo di Regione Lazio

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