Depositata al Tar del Lazio la richiesta di annullamento della delibera Cipe sui finanziamenti europei. Tra la documentazione alcune note inviate da Giuseppe Santalco, dirigente responsabile dello Sto di Messina, che avrebbe "arbitrariamente" escluso il sito di Taormina dalle proposte da presentare
Si terrà fra poco meno di trenta giorni l’udienza al Tar del Lazio per la sospensiva della delibera Cipe pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’11 luglio 2012, sui fondi nei settori ambientali di depurazione del Mezzogiorno. Il ricorso al tribunale romano è stato presentato da Pippo Manuli, il presidente del consorzio di rete fognante di Taormina, escluso dai finanziamenti europei.
Il Cipe aveva stabilito alcuni indici di priorità: avrebbero ottenuto i finanziamenti quegli impianti che non erano ancora stati adeguati alla normativa europea sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271). L’Ato 3, nel presentare le proposte al Cipe, ha considerato il sito di Taormina non in infrazione, escludendolo perciò dalla possibilità di ricevere i fondi.
Nel frattempo, però, la sentenza della Commissione europea contro la Repubblica italiana del 19 luglio 2012, confermava il sito di Taormina fra quelli inadempienti. Questo, nella logica delle priorità Cipe, significava avere i requisiti necessari. Dello stesso giorno però la controreplica del dirigente responsabile dell’Ato 3 Giuseppe Santalco che continuava a sostenere che i due impianti di depurazione gestiti dal consorzio erano a norma. A conclusione, la Corte di Giustizia accoglieva, per il superamento delle infrazioni dei due agglomerati, solo le istanze che riguardavano le reti fognarie ma, per gli impianti di depurazione veniva riconfermata l’infrazione.
L’impianto del ricorso ruota attorno dunque all’”arbitrarietà” della decisione dell’Ato. Nelle trentatre pagine depositate al Tar, risaltano alcune note “incriminate” a firma Giuseppe Santalco. “L’Aato – si legge – attua una condotta diretta a simulare un asserito superamento delle infrazioni”. Sotto accusa l’opinabilità di un giudizio espresso dall’Ato idrico, “successivamente neutralizzato dalla sentenza della Corte di Giustizia (…) con la conseguenza illegittima della mancata assegnazione di risorse al consorzio ricorrente”. Questo è solo uno dei motivi, da cui dipartono tutti gli altri, e per cui con il ricorso si chiede l’annullamento della delibera Cipe.
Delibera che, ricordiamo, ha finanziato interventi nella provincia di Messina per 88 milioni di euro. Di questi, 85 milioni sono andati alla zona tirrenica. Solo tre (2 milioni e 900mila euro per l’impianto di depurazione di Roccalumera, Furci e Pagliara ) alla zona jonica.
(Giusy Briguglio)