Incontro con l’avvocata Giovanna Russo: "Lo scopo rieducativo della pena, in linea con la Costituzione, è la mia bussola"
Reggio Calabria – Lo stato di detenzione e gli istituti penitenziari, un mondo che vive quasi parallelamente alla società civile. Un piccolo microcosmo dove la vita è scandita in modo diverso, nei tempi, nelle attività, nelle percezioni, nei diritti e nei doveri.
Diritti, si, perché anche chi si è macchiato di colpe, chi ha trasgredito la legge, ha dei diritti sanciti dalla nostra costituzione e dal nostro ordinamento. Le storie che i detenuti vivono dietro le sbarre, storie di vite incrinate, talvolta dalla nascita, talvolta dagli eventi, sono storie che tolgono il fiato
Garante dei diritti
Ed esiste una figura, importantissima che è quella del garante dei diritti delle persone private della libertà personale, che si fa carico di bisogni e necessità riconosciuti legislativamente e che diviene un vero e proprio tramite tra il detenuto, l’uomo, e i diritti a lui riconosciuti. A svolgere questo ruolo, a Reggio Calabria, è l’avvocata Giovanna Russo, una giovane donna, tenace, professionale, con una grande preparazione e di altissima sensibilità.
Il rispetto delle regole passa dal rispetto dei diritti
E se alla base del nostro ordinamento, come sancito dalla Costituzione, vige il principio della funzione rieducativa della pena, da questi diritti, ancor di più, non si può e non si deve prescindere perché per insegnare rispetto delle regole è necessario passare attraverso il rispetto dei diritti.
“Chi si trova in istituto – ha spiegato l’avvocato Russo – è perché ha violato una norma. C’è una destrutturazione di comportamento che ha portato al reato, c’è un’indagine rieducativa che va fatta sulla persona, e non possiamo parlare di senso della pena se noi, alla società, non restituiamo una persona ricostruita. Ciascuno di loro è persona. Legalità e reinserimento passano tutte dalla presa di coscienza del fatto compiuto. Ebbene, parliamo di giustizia riparativa, questa si può realizzare se c’è un’azione concreta mirante all’analisi critica di ciò che è stato commesso”.
Parole importanti quelle del Garante che racchiudono il senso profondo dell’attività che svolge.
Gli istituti penitenziari di Reggio Calabria
Ma qual è la situazione sul territorio comunale reggino?
A Reggio Calabria esistono due istituti penitenziari: il plesso di San Pietro e il plesso di Arghillà. Due diverse strutture con un’unica Direzione, che contano, rispettivamente, 240 e 377 detenuti, di cui 41 donne tutte recluse a San Pietro.
Il carcere di Arghillà è istituto di media sicurezza, a san Pietro gli uomini sono tutti in regime di alta sicurezza, in più ad Argillà è istituita la sezione “sex offender” riservata a uomini che si sono macchiati di reati relativi alla dimensione sessuale e, per questo, protetti e separati dalle altre sezioni.
È tra questi due istituti che opera, con grande dedizione, l’avvocato Russo.
Reggio seconda in Calabria per popolazione carceraria
“Come numero di detenuti siamo secondi in Calabria, dopo Catanzaro, ma abbiamo la popolazione penitenziaria più problematica di tutte perché raccogliamo ogni tipologia di detenuto: tutte le strutture umane che si possono incontrare, dalla criminalità organizzata, all’immigrato, al disabile”.
Allo scopo rieducativo della pena crede profondamente l’avvocato Russo: “Credo in quello che faccio e per me questa rappresenta una vera e propria missione. Se posso essere uno strumento voglio esserlo senza vessilli, noi passiamo le azioni devono rimanere per continuare sulle gambe degli altri”.
Per il Garante servirebbero tavoli inter istituzionali di confronto divisi per settore.
“Io avevo individuato 2 macro settori per focalizzare l’aspetto sanitario e quello trattamentale – culturale – scolastico, perché spesso i detenuti provengono da un tessuto sociale che, sin dall’infanzia li vede soggetti fragili; ecco la destrutturazione. È fondamentale, quando si parla di sistema penitenziario, che non esistano rivalità nell’ottenimento del risultato, ma la concomitanza e sinergia nella realizzazione”, sono le sue parole.
“La partecipazione alle attività, il comportamento all’interno della stessa cella, sono tutti fattori che indicano l’attitudine del detenuto a riprendere in mano la sua vita”.
Le donne e il regime carcerario
Un capitolo a parte merita l’argomento relativo alle donne in carcere.
“Le donne in carcere hanno bisogno di grande sostegno per non far dimenticare loro la sacralità del ruolo stesso della donna – afferma Russo- che molto spesso viene legata al fatto di essere madri, ma va valorizzata indipendentemente da questo”.
Donne prima che madri
“A Reggio è stato sottoscritto un protocollo interistituzionale, tra 30 soggetti, che riprende le regole di Bangkok, ratificate in Italia, a maggior tutela della donna detenuta, con tutte le azioni trattamenti esperibili in favore delle donne, non solo le madri. Io sono la prima Garante donna in Calabria e – prosegue – appena insediata, era il periodo della giornata dedicata alle donne, abbiamo fatto entrare in carcere delle mimose. Sembra una banalità vero? Non lo è. Per noi è normale ricevere un fiore per loro è un’attenzione alla dimensione femminile, indipendente dalla maternità”.
Lavora, dunque, la garante, a tutela, anche della struttura della donna in quanto tale. Proprio quest’anno l’associazione “Grace”, insieme alle volontarie, ha lavorato con le donne all’interno del carcere, proprio sull’estetica, come ripensamento dell’“io” e del “se” stimolando dei momenti introspettivi.
L’imbarazzo di una madre detenuta di fronte al figlio
“Immagina di non poter abbracciare ogni giorno tuo figlio – racconta Russo – immagina di mostrarti a lui, dopo tanto tempo trasandata e sofferente. E adesso immagina di poterti mostrare a lui, dopo tanto tempo, pettinata, bella. Non è una frivolezza, è una piccola attenzione che vale tanto. Questo è accaduto. Una detenuta con profondo imbarazzo mi ha confidato di vergognarsi di mostrarsi in quelle condizioni al figlio. Di fronte a questo…”
Prima di tutto esseri umani
E le storie… le storie che vivono dietro le sbarre, storie di vite incrinate, talvolta dalla nascita, talvolta dagli eventi, sono storie che tolgono il fiato, che fanno riflettere, profondamente, sulla dimensione umana, sulla caducità della vita, della mente e dell’anima stessa. Su cosa si cela dietro un fatto, condannabile e condannato che, seppur non giustificabile, non deve annullare l’essere umano.
“Il loro percorso deve essere pulito, limpido – spiega ancora Russo – i reati vanno puntiti, le regole rispettate e la certezza della pena mai vanificata, ma i diritti di noi tutti come esseri umani sono sacri”.
Bimbi dietro le sbarre
E proprio in tema di umanità si lavora all’interno delle nostre carceri per rendere più dignitosi i momenti di “evasione” come quelli dell’incontro con i figli, vittime incolpevoli che portano sulle spalle, già da piccoli, tutto il peso di scelte e di errori.
“Proprio nei giorni scorsi abbiamo effettuato dei sopralluoghi per migliorare il momento d’incontro tra le madri e propri figli – racconta il Garante -. Fare entrare dei bambini in salette colloqui cupe, grigie, fredde, causa tensione e non favorisce i rapporti. Per questo insieme alla direzione stiamo pensando alla riqualificazione delle aree verdi, seppur con grandi problemi strutturali in quanto si deve garantire, in primis, la sicurezza”.