Riflettori accesi a Barcellona sullo Statuto speciale. E' stato un ostacolo oppure può ancora essere visto come uno strumento di sviluppo? L'incontro, promosso dal gruppo Pdr-Sicilia Futura ha visto la presenza degli esperti in materia
Mentre ad ottobre il Paese s’interrogherà sul futuro della Costituzione, la Sicilia è alle prese con il futuro di uno Statuto Speciale, persino antecedente alla Carta Costituzionale, mal utilizzato in passato, reso inefficace nel presente e destinato ad essere cancellato dalla riforma Boschi. “Vincolo oppure opportunità?” si sono chiesti i consiglieri Pdr-Sicilia Futura di Barcellona, con Pietro Maio in tesa ed hanno preferito dare la parola agli esperti sul tema, per capire perché le parti più importanti non sono state mai attuate e soprattutto se sia possibile provare a renderlo strumento di sviluppo piuttosto che d’immobilismo.
Così a spiegare ad una platea coinvolta ed interessatissima nella sala del Parco urbano, sono stati due professori del calibro di Marcello Saija e Massimo Costa, che hanno toccato tutte le sfaccettature di uno Statuto fallito nell’applicazione più che nell’idea, presenti il presidente della Commissione Ars Affari Istituzionali Salvatore Cascio ed il capogruppo regionale di Sicilia Futura Beppe Picciolo.
Il tema divide addetti ai lavori e non, tra “vittimisti e colpevolisti” ovvero tra chi ritiene che la Sicilia sia stata depredata ed abbia dato più di quanto ha preso, e chi ritiene che in fondo siamo noi ad essercela cercata soprattutto affidando ad una classe dirigente poco interessata al bene comune, l’applicazione dello Statuto. Così oggi, mentre il governo Renzi sta smantellando pezzo per pezzo, impugnativa per impugnativa quel poco che restava di un’autonomia a brandelli che ci vede elemosinare ad ogni Finanziaria, il tema è: abolire o rifondare lo Statuto?
“Mi chiedo quante volte finora, solo per fare un esempio- ha detto il sindaco di Barcellona Roberto Materia- un Presidente della Regione abbia partecipato, così come prevede lo Statuto, ad una riunione del Consiglio dei Ministri, col rango di Ministro quando si trattava di dover decidere su questioni siciliane”.
Materia ha ragione, ultimo esempio in ordine di tempo è stata la vicenda Autorità portuale, con Crocetta che ha scoperto dalla stampa che Messina era stata accorpata a Gioia Tauro (poi il governatore ci ha messo del suo nel peggiorare le cose ma questo è un altro capitolo). A portare il saluto dell’ordine degli avvocati di Barcellona è stato Francesco Russo “nel nostro dialetto non usiamo i verbi al futuro, viviamo di memoria, senza saper guardare avanti”. Emblematici i dati resi noti dal vicepresidente nazionale dei Borghi d’Italia, nonché sindaco di Montalbano, Giuseppe Simone, come quelli relativi a Comuni come Castroreale, che nel ’51 aveva più di 10 mila abitanti, Novara, oltre 9 mila, Montalbano, quasi 6 mila, rispetto a quelli attuali, drammatici. Nel contempo in Toscana c’è la cultura che tutela identità e storia, mentre noi copriamo di cemento le pavimentazioni artistiche dei centri storici.
“Ogni domenica, guardando l’Arena di Giletti la Sicilia veniva dipinta come una terra di malfattori- ha spiegato il consigliere comunale Pietro Maio- Ma noi siamo stanchi di questi pregiudizi e così abbiamo avuto l’idea, con gli altri colleghi di approfondire le tematiche relative allo Statuto, se sia stato un peso o un’opportunità sprecata”.
Argomento di grande attualità, come ha sottolineato il coordinatore provinciale di Sicilia Futura Santi Calderone, perché quando abbiamo bisogno dei soldi di Roma per chiudere un bilancio o il governo nazionale impugna tutte le leggi allora qualche domanda sulla nostra autonomia dobbiamo farcela, al di là dei colori politici.
E’ toccato al professor Marcello Saija, autore anche di un’opera sull’Autonomia siciliana, di tracciare il percorso storico che ha portato, il 15 maggio del ’46 allo Statuto speciale ed alle tappe successive. “Io dico che lo Statuto dobbiamo tenerlo, ma serve rifondare l’Autonomia, perché la Sicilia merita un’autonomia vera. Il problema è stato il rapporto tra la Sicilia e le classi dirigenti chiamate ad applicare quanto previsto dallo Statuto, che è diventato poi solo un alibi per mantenere i propri privilegi. Non si è mai voluto incidere dal finire del ‘700 al secolo successivo, sull’assetto della distribuzione della ricchezza, con conseguenze che si pagano ancora oggi. Dopo la caduta del fascismo vi era in Sicilia una tale Babele di linguaggi e posizioni che fu facile imporre un’autonomia su posizioni riparazioniste mai però applicate. Oggi solo il 10% della spesa va per lo sviluppo, il 90% va per i costi del personale. Non sappiamo spendere i soldi dell’Unione europea e soprattutto non abbiamo mai applicato le norme relative all’imposizione fiscale. L’autonomia possiamo rifondarla solo con la responsabilizzazione”.
Ed infatti lo Statuto è stato per 70 anni l’alibi usato dalle classi dirigenti per continuare a difendere i loro privilegi, come ha sottolineato il presidente Cascio: “è vero, la politica ha le sue colpe, soprattutto la politica degli ascari. Da siciliano dico, combattiamo ad armi pari, non dobbiamo elemosinare quel che ci spetta. Purtroppo il sistema delle liste bloccate ha portato ad un oligopolio che decide per tutti”.
Chi non ha risparmiato fendenti è stato il professor Massimo Costa, presidente di Siciliani Liberi, che, da indipendentista, ha strappato più di un applauso ricordando come “a noi siciliani piace dire di avere l’autonomia, non averla. L’Italia unita è nata da un patto scellerato che ha visto i nostri soldi finire al Nord, le nostre ricchezze e risorse. Il famoso Fondo nazionale, che sono sempre stati soldi nostri, ci è stato dato ma fino al ’90 ed erano soldi nostri non dimentichiamolo. Non c’è autonomia perché l’abbiamo affidata ai partiti. E gli esponenti dei partiti, a Roma, non hanno fatto gli interessi della Sicilia”.
A concludere il dibattito, animato da interventi del pubblico è stato Picciolo: “La Sicilia è stata fatta, adesso si devono fare i siciliani. In questa terra la clientela ha preso il posto dei diritti e la cultura del favore è stata l’unica strada intrapresa che ha riempito le segreterie mentre l’isola diventava deserto”.
La vera partita si gioca comunque ad ottobre con il referendum Costituzionale, perché se vincono i sì, lo Statuto siciliano va archiviato per sempre, con gli errori fatti e le speranze disattese.
Rosaria Brancato