È risaputo quanto noi gente del sud siamo attaccati alla famiglia. Quanto sia saldo il cordone ombelicale che ci lega a mammà e al nostro nucleo d’origine anche quando abbiamo messo su quattro figli e 10 nipoti. Il legame non è solo un fatto sentimentale, ma qualcosa di fisico: abbiamo l’esigenza di incontrare il nostro albero genealogico vivente spesso e volentieri, non solo durante le feste comandate o le visite mediche specialistiche (alle quali presenziamo con tutti gli ascendenti, discendenti e collaterali), ma almeno ogni quindici giorni. La natura del legame pretenderebbe una scadenza settimanale, ma dal momento in cui ci si unisce ad un’altra persona, ci si unisce anche alla sua famiglia, pertanto la vita diventa un precario equilibrio fra genitori e suoceri. Il sacrosanto rito del pranzo domenicale infatti, è un appuntamento familiare che deve essere equamente, in maniera millimetrica, diviso fra i due nuclei e al quale non si può mancare se non in rarissimi e giustificati casi, pena la radiazione dall’albo della famiglia.
La peculiarità dei nostrani pranzi domenicali non è il vassoio di cannoli o di piccola pasticceria, o le telefonate continue dal primo minuto di ritardo in poi – gliela posso calare? -, né tantomeno le imprecazioni per la privazione della libertà anche nel giorno di riposo – la prossima domenica ce ne saliamo ai colli e chi si offende si offende – bensì i giochi di società che allietano questo appuntamento fisso. Sono giochi particolari e fantasiosi – mica risiko e monopoli – che accomunano però la maggior parte delle nostre riunioni familiari. Il primo di questi è il gioco della bottiglia, che poco ha a che vedere con quello famoso durante l’adolescenza. Esso consiste nel far slittare con sottile strategia e in maniera silente, la bottiglia di vino il più lontano possibile dal commensale che ha la fama di abusarne nelle situazioni conviviali. Il tutto parte dal commensale saggio (solitamente una donna) che sposta la bottiglia o fa dei segnali ad un altro componente del tavolo che diventa complice. La vittima designata può chiedere l’aiuto di qualcuno (spesso un nipote corrotto) affinché la bottiglia in questione torni a viaggiare nella sua direzione. A questo punto, in maniera assolutamente naturale, palesando indifferenza, ogni componente della tavolata dovrà schierarsi o col bevitore o con il saggio rompiballe; si creeranno così due vere e proprie squadre. Non sarà difficile capire quale sarà la compagine vincente: se il presunto bevitore concluderà il pranzo cantando il coro degli Alpini, ahimè, la sobrietà sarà stata sconfitta e il caposquadra costretto a servire pure l’amaro e il limoncello. A quel punto ci si fa un goccetto tutti.
Altro momento ludico simpaticissimo è la gara di decibel. È un gioco estremo: un duro lavoro di diaframma da calibrare stando attenti a non soffocare col ragù, che poi macchi la tovaglia e finisce a tragedia. Si butta lì un argomento, non importa quale, l’importante è che appassioni. Si può restare sul generico, disquisendo ad esempio se sia più criminale mettere il parmigiano sulla pasta col pesce o lasciare 30 immigrati in mezzo al mare, o si può alzare il tiro, colpendo uno dei parenti, estratto a sorte, con una serie di domande circa studio/lavoro/matrimonio, a seconda dell’ambito in cui è palese un’impasse della vittima. A questo punto ogni commensale inizia a dire la propria opinione tentando di coprire quella dell’altro alzando la voce, via via in un climax ascendente. Giudici della gara solitamente sono i vicini, che possono comodamente votare da casa propria (ormai si usa così), utilizzando un qualsiasi oggetto per colpire la parete divisoria degli appartamenti e decretare così il vincitore.
Che non si pensi che i minori vengano tagliati fuori, anzi solitamente creano dei loro tornei paralleli a seconda della fascia d’età: l’urto del soprammobile, la lotta libera sul tappeto, l’estorsione della maggiore somma di denaro ai nonni, fino alla gara dei migliori sfondi per i selfie. Ma gli adulti sono i più giocherelloni e, non paghi, continuano a sfidarsi, stavolta nella gara dell’abbiocco, in cui, ahimè, gli uomini sono campioni. I concorrenti si affrettano a guadagnare una postazione comoda su divani e poltrone di fronte ad un programma sportivo a cui fingono di essere interessati solo per depistare gli avversari. Vince ovviamente chi fa trasalire gli altri con la prima apnea notturna.
Arriva purtroppo il momento del congedo, non senza una degna premiazione. E siccome siamo una famiglia, è giusto che ci siano premi per vincitori e vinti, per cui tutti si va a casa con un tupperware con gli avanzi da congelare o riscaldare – domani, che stasera non si mangia.