Ogni partecipante ha potuto trovare un sostegno, un parametro di confronto e di aiuto nell’altro. Momenti, quindi, di grande condivisone che hanno generato emozioni e fatto scoprire incertezze e difficoltà nel rapporto con gli altri e soprattutto con i familiari
Si è conclusa, dopo cinque mesi di intensa attività, la prima parte del laboratorio teatrale riservato ai detenuti di Alta Sicurezza della Casa Circondariale di Messina.
Il laboratorio al quale hanno partecipato una decina di detenuti è stato tenuto dalla Compagnia del “Piccolo Teatro Blu” degli attori Cristina Capodicasa, Gerardo Fiorenzano e Giuseppe Capodicasa, e promosso dal Centro Prima Accoglienza Savio. E’ il secondo anno che il Cepas porta il Teatro in carcere, grazie a questa Compagnia.
Da parte degli ospiti dell’Istituto di Pena c’è stata, anche questa volta, un’adesione compatta e convinta. La recitazione è stata, per gli aspiranti attori, un momento formativo, educativo, culturale e di crescita in senso lato.
Il far parte (anche se tra le sbarre) di una mini compagnia teatrale ha significato per i partecipanti al corso impegno, disciplina, cura di se, aspetti relazionali e riscatto personale. Gli aspiranti attori hanno così provato sentimenti ed emozioni che all’interno di un carcere ognuno sente moltiplicati al cubo.
Peppe, Antonio Luciano, Vito, Teodoro e tutti gli altri hanno potuto dimenticare in quelle ore d’incontro fatte di passione, entusiasmo e coinvolgimento, i loro pur grandi problemi e hanno potuto superare, grazie alla recitazione, anche le “crisi” della loro vita di reclusi volando così con pensieri e spirito oltre le sbarre.
Parallelamente a questo laboratorio si è concluso anche un altro “Progetto sulla Genitorialità” promosso dal Centro prima accoglienza Savio. Questa iniziativa è stata seguita dalla professoressa Lalla Lombardi, vicepresidente Cepas e dalla pedagogista Rosa Maria Guarino. L’obiettivo di questo progetto sulla Genitorialità è stato quello di cercare di rinsaldare i legami familiari puntando sull’importanza della funzione paterna messa in discussione dalla “assenza” dovuto alla reclusione.
Si è lavorato per alcuni mesi attraverso gruppi di parola e autoaiuto, test psicologici, tecniche di rilassamento e respirazione per allentare le normali tensioni e giochi di ruolo (role play).
Ogni partecipante ha potuto trovare un sostegno, un parametro di confronto e di aiuto nell’altro. Momenti, quindi, di grande condivisone che hanno generato emozioni e fatto scoprire incertezze e difficoltà nel rapporto con gli altri e soprattutto con i familiari. Tutto questo nella consapevolezza che un padre, per quanto possa avere sbagliato, niente e nessuno potrà sostituirlo.
Queste due iniziative, non prive di difficoltà, sono state seguite e incoraggiate dal presidente del Cepas, don Umberto Romeo e dal presidente del Tribunale di Sorveglianza, Nicola Mazzamuto. Importante è stata l’attenzione del direttore dell’Istituto di pena dott. Calogero Tessitore e di Antonella Machì, comandante della Polizia Penitenziaria. Ai corsisti sono stati donati un attestato di partecipazione e un libro di racconti da consegnare ai figli.