Il contratto di governo sulla questione del Mezzogiorno è laconico: il Sud non ha bisogno di politiche speciali
I recenti dati sul mercato del lavoro presentano un’Italia spaccata in due. E’ vero che nel 2017 abbiamo assistito ad una lieve riduzione del tasso di disoccupazione in tutte le aree territoriali del paese ma è altrettanto vero che i divari nei tassi di disoccupazione rimangono accentuati; nel Mezzogiorno (19,4%) è quasi tre volte quello del Nord (6,9%) e circa il doppio di quello del Centro (10,0%). L'Italia viaggia a due velocità e la situazione al Sud continua ad essere drammatica.
Ora, il contratto di governo sulla questione del Mezzogiorno è laconico: il Sud non ha bisogno di politiche speciali. “Con riferimento alle Regioni del Sud, si è deciso, contrariamente al passato, di non individuare specifiche misure con il marchio “Mezzogiorno”, nella consapevolezza che tutte le scelte politiche previste dal presente contratto (con particolare riferimento a sostegno al reddito, pensioni, investimenti, ambiente e tutela dei livelli occupazionali) sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l’obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud”.
Contrariamente a ciò che pensa il governo, continuo a ritenere che il Sud abbia bisogno di un progetto di sviluppo e di una strategia di intervento specifica senza la quale la forbice nei livelli di reddito e nei tassi di disoccupazione rischia di aumentare ulteriormente. Senza entrare nel dettaglio delle questioni tecniche provo a semplificare il ragionamento.
Il primo pilastro delle politiche economiche del governo a livello nazionale è l’introduzione di una misura di sostegno al reddito, contro le povertà e a favore delle “pensioni sociali”: il reddito di cittadinanza. La sfida per il governo, dal punto di vista economico, è quella di trovare le risorse per finanziare tale intervento. A parte il risparmio nella gestione delle risorse pubbliche –vademecum Cottarelli– e l’abolizione dei privilegi accordati al sistema politico, il governo sembra più puntare sulla crescita della produzione, dei redditi e, dunque, sulle future entrate fiscali.
Il secondo pilastro della strategia del governo, infatti, è quello della semplificazione e riduzione graduale della tassazione sulle imprese e sulle famiglie (Flat tax) per incentivare la crescita degli investimenti e dei consumi. A parte i problemi di compatibilità di una tale misura con i vincoli europei sull’entità del deficit e le questioni legate alla sostenibilità del debito pubblico, questa politica, tuttavia, rischia di aggravare ulteriormente il divario esistente nel paese.
L’aumento della produzione, a seguito della graduale riduzione fiscale introdotta dal governo, favorirà certamente la creazione di nuove occupazioni e di nuove imprese ma questa espansione, in assenza di una strategia sul Mezzogiorno e di vincoli alla destinazione di nuovi investimenti, rischia di beneficiare, come è successo già nel passato, solo la parte più attrezzata e produttiva del paese. Il rischio, quindi, è che i sistemi produttivi forti diventeranno ancora più forti e quelli deboli ancora più fragili.
Certo, i disoccupati al Sud non saranno lasciati soli. Il contratto di governo non prevederà per il Sud investimenti, infrastrutture o incentivi per nuovi insediamenti produttivi in grado di arrestare l’emorragia dei posti di lavoro; in compenso, però, i cittadini del Sud potranno godersi il mare, il sole e le bellezze naturali con il reddito di cittadinanza. Nonostante, poi, la promessa efficienza dei centri per l’impiego, sarà meglio abituarsi all’idea che nel mercato del lavoro al Sud si renderanno disponibili prevalentemente occupazioni precarie, con un basso grado di qualificazione e scarso contenuto tecnologico.
E se a qualcuno venisse in mente di rinunciare alla generosa assistenza del paese per tentare di inserirsi con merito e competenza nel mercato del lavoro, a meno di non appartenere all’elitè locale che continuerà a mantenere saldamente il controllo sulla debole economia, potrà sempre decidere di lasciare la sua città impoverendo ulteriormente il capitale umano e sociale del Sud. Tutto questo va evitato con precisi interventi e una strategia di sviluppo del Sud che, come appare evidente, non può essere liquidata con solo sei righe nel contratto di governo.
Michele Limosani