Epifania: a Bordonaro c'è "U Pagghiaru"

Epifania: a Bordonaro c’è “U Pagghiaru”

Daniele Ferrara

Epifania: a Bordonaro c’è “U Pagghiaru”

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domenica 05 Gennaio 2020 - 09:44

Appuntamento domani con una delle feste più tradizionali della città

L’Epifania si può considerare per certi aspetti un doppione del Natale, nel rito cristiano, ma nell’antica tradizione essa corrisponde alle feste romane in onore di Giano (Ianus, da cui Ianuarius: Gennaio), dio dell’inizio e della fine, del passaggio. Questa data è collegata spesso all’arrivo di figure dorifore – i Saggi (i Tre Re) o la Vecchia (la Strina) –, ma a Bordonaro assume tutt’altra connotazione e con una complessità che vale la pena di descrivere al dettaglio e interpretare attentamente. In essa possiamo vedere chiaramente quello che rimane in Sicilia d’antichissimi rituali propiziatorî.

U pagghiaru

Nei giorni che precedono la solennità viene allestito il Pagliaro nella piazza principale del villaggio: costruito con parti di castagno e acacia a forma di capanna, è il classico albero dell’abbondanza delle leggende medievali protagonista di raffigurazioni e di feste popolari, dai cui rami cresce ogni cibo ritenuto gustoso e sano, il che significa che produce anche prosciutti e altri tagli di carne (per quanto strano possa essere!); in questa variante peloritana (a suo tempo comune anche nel Ferragosto messinese), nel folto della chioma si trovano appese arance e limoni, ovatta, forme di pane e dischetti colorati, mentre la sommità è coronata da una croce (o sole/stella?) – quest’ultima impilata d’arance e ornata da salsicce e da un nastro rosso.

L’evento

Insomma, è come l’Albero di Natale celto-germanico, con la differenza che i doni non escono dalle radici ma dai rami. Nello specifico, questa tradizione fu plasmata dai monaci basiliani venuti dall’Armenia mille anni fa. Il Parroco di Bordonaro ha il compito di presiedere allo svolgimento della cerimonia, dal momento che – al tramonto dell’Epifania – benedice le acque e il Pagliaro stesso e subito dopo i concorrenti si scagliano alla scalata dell’albero con l’obiettivo d’impossessarsi della croce che conferisce la vittoria a chi la raggiunge per primo; gli assalitori non vittoriosi invece smantellano il Pagliaro dei suoi frutti e li lanciano sulla folla. In quest’albero sacro si vede già un preludio del Carnevale, che dopotutto è residuo del Capodanno arcaico celebrato a Marzo.

Il Ballo della cordella

La seconda fase è il Ballo della Cordella, praticato anche in altre zone della Sicilia. Eretto un alto palo sempre in ampio spazio con dodici lunghe strisce di raso pendenti dalla sua sommità, ciascuno viene afferrato da un danzatore o da una danzatrice in abiti tradizionali che iniziano a compiere un complesso balletto attorno all’asse che risulta nell’intrecciarsi dei nastri attorno a esso dall’alto verso il basso, terminando quando è tutto avvolto da una treccia. La presenza di coppie d’ambo i sessi (sei dunque, dodici persone rappresentanti i mesi) che avvinghiano questi nastri assieme in una treccia ha il senso d’un rituale di fecondità nel tempo in cui la prosperità della terra è ancora in incubazione, ma possibilmente è riferibile anche a vecchissimi costumi sul corteggiamento.

Il Cavalluccio e l’uomo selvaggio

Quando l’oscurità è calata, inizia la pantomima del Cavalluccio e dell’Uomo Selvaggio, comune a molte località della Peloriade: è il combattimento danzato, ritmato da una banda, fra due figuranti che portano addosso strutture di canne simulanti un guerriero equipaggiato e un grande cavallo, caricate di fiaccole e petardi che deflagrano durante il ballo. La versione bordonarota – a differenza delle altre – ha il Cavalluccio come vincitore prestabilito della contesa, inoltre la sua collocazionenel 6 Gennaio – ovvero alla conclusione dei cosiddetti Dodici Giorni di Natale (iniziati dopo il solstizio) – indica che la battaglia che sta avvenendo è fra due potenze: quella dell’Inverno e quella della Primavera.

C’erano un’arcaica festa romana, le Mamuralia, in cui veniva bastonato e cacciato dalla città un vecchio vestito di pelli che simboleggiava l’inverno, al quale era dato popolarmente il nome del leggendario fabbro Mamurio Veturio forse perché confuso con la figura del “Marte vetusto”: Marte, essendo il dio primaverile e il patrono di Roma, probabilmente personificava anche l’annata e dunque invecchiava e ringiovaniva ciclicamente, e a Capodanno bisognava ritualmente uccidere il vecchio Marte e accogliere il Marte nuovo. Giacché le tradizioni in cui un vecchio e un giovane si affrontano non sono infrequenti, è possibile che il ballo del Cavalluccio e dell’Uomo selvaggio a Bordonaro riprenda questo tema: l’Uomo Selvaggio è il vecchio Marte, bellicoso barbaro coperto di pelli, mentre il Cavalluccio – che sottintende un cavaliere sulla sua groppa – è il nuovo Marte civilizzatore che ha dominato il cavallo. Questo perché noi non vogliamo fermarci alla solita fiaba crociata del combattimento fra Ruggero e il Saraceno.

Questa è l’Epifania a Bordonaro, pregna dello spirito del nostro passato come del nostro futuro: da conoscere, da vedere, da vivere.

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