"Educati dalle periferie". Il secondo appuntamento con la Settimana Teologica

“Educati dalle periferie”. Il secondo appuntamento con la Settimana Teologica

“Educati dalle periferie”. Il secondo appuntamento con la Settimana Teologica

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mercoledì 12 Marzo 2014 - 08:05

Padre Saverio Calabrese, cappellano della Casa Circondariale di Taranto, Don Pippo Insana, cappellano dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona e lo psicoterapeuta e pedagogista Carmelo Impera

La seconda serata della Settimana Teologica 2014 è stata animata da un dibattito che ha suscitato notevole interesse e apprezzamento fra gli intervenuti. A sostenerlo sono stati tre illustri relatori: Padre Saverio Calabrese, cappellano della Casa Circondariale di Taranto, Don Pippo Insana, cappellano dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona e lo psicoterapeuta e pedagogista Carmelo Impera; tutti e tre vivono una realtà che quotidianamente li pone di fronte a esempi di periferie concreti

A introdurre e coordinare la tavola rotonda è stata la Professoressa Concetta Sirna, pedagogista e membro del gruppo organizzativo di questa manifestazione. La docente ha esordito con una riflessione che si ricollegava concettualmente alla prolusione della prima serata richiamando, nel contempo, il tema a suo dire “provocatorio” di oggi: “Siamo abituati – ha detto – a pensare al nostro ruolo di educatori, come possessori di quel sapere che dobbiamo consegnare a chi è ignorante. Spesso pensiamo all’educazione come a una modalità per addomesticare, per rendere inoffensivi gli esclusi, coloro che mettono in crisi il sistema; un concetto di educazione, insomma, che assomiglia più a una colonizzazione. Oggi, invece, siamo chiamati a parlare di qualcosa che unisce l’educazione e le periferie in un modo particolare e che ci induce a porci degli interrogativi: siamo noi educati dalle periferie, nel senso che tutti ne subiamo gli effetti e siamo quasi indotti a fuggire, oppure le periferie ci stanno educando a essere scettici, a non credere più nel cambiamento della realtà perché troppo compromessa? La nostra fragilità di fronte ai problemi è aumentata a tal punto che ci sembrano insormontabili, oppure le periferie ci hanno educato e continuano a educarci a essere migliori?” Questi sono gli interrogativi che la Professoressa Sirna si è posta e ha rivolto agli esperti.

Padre Calabrese, di origine Messinese, dopo i suoi studi filosofici, riguardanti soprattutto l’esistenzialismo, e dopo diciassette anni di vita parrocchiale, riscopre la chiamata del Signore proprio quando, nel 2009, viene inviato dal suo vescovo a prestare servizio nelle carceri di Taranto: “Da sempre – afferma il sacerdote – ero attratto dalle situazioni di marginalità che, più di altre, mi avrebbero offerto la possibilità di avvicinarmi ad una facoltà dell’uomo da troppo tempo disattesa, la dimensione affettiva. Sentivo che il mio compito sarebbe stato quello di educare attraverso il dialogo, non parlando all’intelligenza, e nella realtà carceraria tutto questo sarebbe stato possibile. Don Bosco affermava che educare fosse solamente una questione di cuore”. Padre Saverio, però, entrato in quel luogo come “il salvatore di gente derelitta”, non aveva fatto i conti con l’impatto emotivo che tutto questo avrebbe scatenato in lui, ovvero la terribile sensazione che “una volta entrato in quella discarica sociale, perdi completamente la tua dignità e diventi soltanto un numero”. L’incontro con i carcerati aveva cambiato radicalmente il suo cuore, attraverso un impatto significativo che gli aveva fatto riscoprire nella quotidianità dei colloqui la bellezza di condividere un’esistenza. “Lì, – ha proseguito Padre Calabrese – non puoi parlare di Dio, non puoi presentarti come il sacerdote che ha la soluzione a tutti i problemi, devi solo incrociare le braccia, tendere l’orecchio e spalancare il tuo cuore: Ecco perché, io credo sia necessario educarsi alle periferie attraverso un percorso introspettivo della nostra esistenza; solo così, lo scontro diventa l’incontro con le situazioni. Noi proveniamo da una cultura greca, ideologizzata, che oggi purtroppo ci mette in crisi rispetto ai linguaggi attuali; nel Vangelo di Matteo c’era scritto ‘Avevo fame, avevo sete, ero nudo, ero in carcere….e mi avete visitato’. Impariamo dunque a uscir fuori dalle nostre ristrettezze mentali, riappropriandoci di ciò che fece Dio, il quale non disdegnò di entrare nell’esistenza”.

Anche Padre Insana, che afferma di aver accettato timoroso l’invito a questo dibattito, propone la sua esperienza in un luogo, quello dell’Ospedale Psichiatrico di Barcellona, dove vive dal 1986 e dove ha conosciuto più di cinquecento persone con diverse insufficienze mentali, rinchiusi in quello che lo stesso direttore definisce una discarica sociale, un posto non idoneo alla cura dei soggetti reclusi perché anche solo ipoteticamente colpevoli di aver commesso un reato più o meno grave a causa dei loro deficit psichici. “Molte di queste persone – afferma Padre Pippo – in questo luogo si danno da fare, aiutano i compagni, sentono di aver ritrovato Dio; vivono quotidianamente il Vangelo, con semplicità. Tanti partecipano alla messa domenicale con il desiderio di incontrare quel Dio misericordioso, viatico della loro pena indefinita, che li ascolta e li comprende”. Il pensiero grato del sacerdote va poi a Franco Basaglia, cui si deve la legge sulla chiusura dei manicomi, per il suo impegno nell’affrontare il degrado dei malati di mente. Infine, si pone degli interrogativi cruciali: “Basta, dunque, che la chiesa deleghi un sacerdote nella periferia o limitarsi a brevi momenti di riflessione? La Chiesa, così come la società che conta, devono riflettere sul fatto che inconsciamente o no sono loro a favorire queste periferie; nelle grandi celebrazioni gli ultimi restano sempre gli ultimi, in prima fila emergono altri e questo non è motivo di salvezza ma di condanna. I Vangeli ci mostrano Gesù sempre per strada che ascolta, compatisce, guarisce, nutre con la sua Parola di verità e di vita, a differenza degli scribi e dei farisei che lo avvicinano solo per metterlo alla prova. La vocazione di una Chiesa fedele al Vangelo dev’essere quella di abbandonare Babele e raggiungere le periferie per costruire con esse la Santa Gerusalemme”.

Un’altra periferia, non meno dolorosa e difficile da affrontare è quella del disagio giovanile. A parlarne, partendo dalla propria esperienza professionale e, precedentemente personale, è il Dott. Carmelo Impera, che abita in una casa famiglia dove gestisce direttamente ragazzi con diverse tipologie di disagio: “Quando si parla di pianeta giovani – afferma – non c’è un centro e una periferia; tutti possono vivere il disagio e il dramma della marginalità. Oggigiorno i ragazzi hanno bisogno di una nuova modalità di approccio al dialogo, poiché non conoscono più la grammatica dei valori, delle relazioni, della fede, che un tempo proveniva dalla famiglia o dalla chiesa; il compito principale degli adulti, in questo momento, è proprio quello di cercare degli strumenti per essere a servizio di questi ragazzi, ascoltandoli.”. Il medico si dice vicino alla figura del Santo Padre che, con semplicità riesce ad abitare tutte le periferie e ad accettare le polarità che abitano in ognuno di noi. Serve soprattutto l’empatia, che Impera ritiene una competenza trasversale cui tutti devono far riferimento, non solo lo psicologo o il sacerdote; attraverso questa, è fondamentale che gli adulti, pur mantenendo la loro autorevolezza, creino tavoli di concertazione per imparare il linguaggio dei giovani.

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