Sta meglio Antonio Bagnato, ricoverato con ferite superficiali a Milazzo. Più grave invece Nino Bartolomeo Costa, al centro di Palermo.
Non vuole parlare la famiglia Costa. Mentre intorno le casemmatte di contrada Femminamorta si affaccendano ancora gli investigatori e il Genio, chiamato a mettere in sicurezza quel che resta della fabbrica, i componenti della famiglia conosciuta ovunque per i suoi splendidi fuochi d’artificio si è chiusa in un doloroso silenzio. Oggi per loro c’è da fare i conti con tante cose.
Venera Mazzeo, moglie del titolare Vito Costa, non c’è più. E’ morta quasi sul colpo, ieri pomeriggio. Non era nel casotto che è esploso, era poco distante, ma l’onda d’urto della deflagrazione l’ha investita non lasciandole scampo, le fiamme e le macerie l’hanno avviluppata.
Nino Bartolomeo Costa, il figlio del titolare, è impegnato nella battaglia per la sua vita, al Centro grandi ustionati di Palermo. Anche lui non era nel casotto esploso, né in quelli danneggiati direttamente dall’esplosione. Era all’esterno del caseggiato, insieme ad Antonio Bagnato, stavano riponendo gli attrezzi, avevano quasi finito la loro parte di lavoro. Quando si è scatenato il finimondo ha visto la madre in difficoltà ed a provato a metterla in salvo, ma non c’è riuscito ed è rimasto ferito anche lui.
Quando è arrivato al pronto soccorso di Milazzo, ieri sera, aveva ustioni sul 60% del corpo, le fiamme lo hanno raggiunto alle gambe, alle braccia e al viso. Non ha mai perso i sensi, ma i medici temevano per gli effetti interni dell’intossicazione, così lo hanno stabilizzato, intubato, e un elisoccorso lo ha trasferito a Palermo.
Per la famiglia Costa, oggi, c’è da fare i conti anche con la rabbia: l’esplosione è avvenuta proprio mentre erano in corso i lavori, prescritti dalla Prefettura, che avrebbero dovuto mettere in sicurezza tutto quanto. Una deflagrazione potentissima, come una esplosione vulcanica, che ha ridotto in polvere gran parte del caseggiato, nelle parti operative. Dentro c’era parecchia polvere pirica: il Natale era vicino, è uno dei periodo in cui la domanda aumenta. Ma soprattutto la ditta si preparava a festeggiare i 1 anni di attività della rivendita.
Poi le responsabilità: tutte le parti del caseggiato, il materiale esplodente, erano in sicurezza? Stavano lavorando secondo tutte le norme e le prescrizioni gli operai della ditta Bagnato? Tutte domande alle quali risponderà l’inchiesta, che il procuratore Capo Emanuele Crescenti ha affidato al sostituto procuratore Matteo De Micheli, e che sta compiendo i primi passi proprio in queste ore.
Al vaglio, oltre i reperti sequestrati dal Ris dei Carabinieri e dai Vigili del Fuoco, ci sono anche le immagini delle videocamere di sicurezza del caseggiato, che però sembrano inquadrare per lo più la parte esterna del perimetro della ditta.
Scongiurato il pericolo di una sesta vittima. “Non abbiamo elementi per pensare ad un altro disperso”, spiega Crescenti. “Purtroppo non è stato facile identificare chi c’era sotto le macerie, è triste dirlo ma è così, di una vittima in particolare non sono rimasti che pochi resti, difficilmente riconoscibili. Un arto lo abbiamo rinvenuto addirittura stamane su un albero , a diversi metri di distanza. Ma non mancano altri nomi all’appello.”
A guardia delle casematte, oggi, dietro il filo bianco e rosso della Procura, dietro il suo cancello, oggi c’è solo il cane della famiglia Costa. E’ rannicchiato a terra, sembra non curarsi dei tanti che ancora oggi si affaccendano sul posto, né del chiasso del viavai dei giornalisti. Ha il muso sulle zampe, lo sguardo fisso al caseggiato, aspetta che la sua famiglia umana abbia la possibilità di occuparsi anche di lui, nella enorme tragedia che le è caduta addosso.
“Sta lì da ieri”, dice un vigile del fuoco “non si muove, non risponde, stamane non ha voluto neppure bere, forse lo sbalzo di pressione ha danneggiato anche il suo udito, speriamo non sia rimasto intossicato”.
Sta meglio, invece, Antonio Bagnato. E’ il figlio del titolare dell’impresa cui la ditta Costa aveva affidato i lavori di messa in sicurezza della fabbrica. Ha piccole ferite sul corpo, qualche contusione, ha un timpano perforato a causa degli sbalzi di pressione dell’esplosione, ma le sue condizioni generali sembrano buone e al reparto di Chirurgia di Milazzo, dove è ancora in osservazione, pensano che la prognosi potrà essere sciolta presto.
Anche lui non vuole parlare, né vogliono farlo i suoi parenti, che anche stamane gli sono stati vicino, in ospedale, e hanno atteso dai sanitari notizie rassicuranti sulle sue condizioni generali.
Al Fogliani c’è ancora anche il corpo ormai senza vita di Moahmed Taeher Mannai, il tunisino di 39 anni estratto vivo dalle macerie ieri sera e portato di corsa all’ospedale di Milazzo, dove ieri il piccolo pronto soccorso di quello che è un nosocomio “di frontiera” ha affrontato un’emergenza clamorosa.
I camici bianchi hanno fatto di tutto per strapparlo alla morte, hanno provato a rianimarlo, a sanare le tante ferite riportate – il suo corpo è stato sbalzato dall’esplosione parecchie decine di metri più in là, nel ricadere si è rotto un arto, che è stato impossibile ricucire – ma per lui non c’è stato nulla da fare.
Il personale sanitario ha effettuato un esame esterno sul suo corpo, acquisito dalla Procura di Barcellona, ed ora i familiari attendono fuori dall’obitorio che venga loro riconsegnata la salma. Vogliono infatti riportarlo nel suo paese d’origine per le esequie funebri e per seppellirlo.