Il gestore dei ristoranti ha confermato di aver subito le pressioni del clan di Santa Lucia sopra Contesse, in una lunga deposizione in aula. Il commerciante è nel frattempo indagato in un altro filone di inchiesta.
Nicola Giannetto non si è sottratto alle domane della Procura ed in aula ha confermato tutto: di aver subito le pressioni del clan di Santa Lucia Sopra Contesse, di aver assunto un uomo vicino allo stesso clan, di essersi fatto convincere, non proprio spontaneamente, a fare alcune “regalìe” a pregiudicati. Tutto per paura delle ritorsioni.
E’ durata quasi cinque ore la deposizione del commerciante e imprenditore messinese attivo nel settore della ristorazione, titolare di alcuni noti locali come il Calasole e il Toronero, sentito come parte civile al processo Matassa, l’inchiesta della Squadra Mobile sugli affari dei clan cittadini, anche quello di Camaro, nella calda stagione elettorale 2012-2013 in particolare.
Giannetto è comparso assistito dal suo difensore, l’avvocato Giuseppe Lo Presti, ed ha scelto di deporre malgrado – lo ha svelato il Pm Liliana Todaro proprio in questa occasione – nel frattempo ha ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito di una inchiesta collegata ed avrebbe quindi potuto avvalersi della facoltà di non rispondere, come consentito dalla normativa.
L’imprenditore invece non si è sottratto al confronto col Pubblico Ministero ed ha confermato il verbale reso alla Squadra Mobile nel 2012, così come ha confermato passo passo il contenuto delle conversazioni intercettate.
Al centro della vicenda che riguarda Giannetto c’è un nome noto della criminalità locale, Gaetano Nostro. Insieme ai suoi, aveva messo sotto scacco l’imprenditore che all’epoca gestiva anche alcuni supermercati.
In uno dei suoi ristoranti lavorava come cuoco un parente di Giuseppe Cambria Scimone, e anche quando era in carcere – come accadde nel 2011 – Nostro raccomandava ai suoi di andare a prendersi la carne argentina, specialità del locale di via La Farina.
A Natale, il gestore aveva fatto dono loro di 6 cestini natalizi; non proprio una regalìa spontanea, come ha spiegato lo stesso ristoratore, interrogato dalla Polizia. Le richieste da parte del clan ad un certo punto si sono fatte estenuanti, e il titolare non sapeva proprio come liberarsi del giogo. Ecco di seguito la conversazione intercettata dagli genti.
“A quei rognosi come me li devo togliere di sopra”, dice il titolare al suo socio.
Franco: chi ?…
Nicola: quello là, tuo compare
Franco: ehhhh, come te lo devi togliere, che voleva stavolta
Nicola: ora, ora è sceso un'altra volta, quello schifoso di suo fratello…."compare…(inc.)"…"e che vuoi?"…"no, quanto mi prendo il formaggio”….compare, scendono, si stanno prendendo cento euro al giorno, compare e a me sembra male, però mi sto arrabbiando (parolaccia) è…(inc.)…
Franco: perché non glielo dici a sua sorella
Nicola: c'è un limite, compare..eh……o scendono tutte le mattine compare o tutti i pomeriggi…così, mi costa tremila euro al mese..”.
Il clan avrebbe imposto il pizzo ad un cantiere di Villaggio Aldisio, ad un imprenditore operante tra Furci, Roccalumera e il capoluogo, ad una società di ristorazione.
I pentiti hanno poi confermato che praticamente tutti gli esercizi commerciali della loro zona di competenza pagavano. Compreso il Mac Donald della Statale 114.
Il processo riprenderà il 21 dicembre.
Alessandra Serio
Nel pezzo qui sotto anche i link agli approfondimenti.