La Corte di Cassazione ha tolto i sigilli al patrimonio del messinese Eugenio Lupo coinvolto nell'inchiesta sul fallimento della holding navale di Giammoro. Il sequestro da 4 milioni di euro della Finanza era scattato a luglio scorso.
Nuovo ribaltone processuale nella complessa vicenda giudiziaria seguita al tracollo della Aicon, l'azienda navale di Giammoro dell'architetto Lino Siclari. Stavolta si tratta del filone messinese, ossia del costruttore Eugenio Lupo, secondo la magistratura utilizzato come prestanome per alcune operazioni volte a sottrarre capitale della holding prima del crac. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del difensore, l'avvocato Maristella Bossa e Giuseppe Di Pietro, ha disposto il dissequestro del patrimonio sequestrato al cinquantenne amministratore pro tempore nel luglio scorso.
La Guardia di Finanza aveva messo sotto chiave un patrimonio stimato intorno ai 4 milioni di euro, intestato alla società di Milazzo. Era stato ordinato il sequestro di quattro rapporti bancari, quote societarie di quattro imprese, sei veicoli, cinque immobili, un opificio industriale e quattro terreni e Lupo era stato denunciato per reati finanziari. Il sequestro per equivalente, richiesto dal sostituto procuratore di Messina, Francesco Massara, era stato eseguito in parte poiché i beni e i soldi effettivamente rintracciati non coprono l'intera cifra. Secondo i finanzieri le numerose società, seppur formalmente intestate a persone diverse, operavano nello stesso settore e nel medesimo contesto territoriale, ma soprattutto facevano riferimento ad un unico centro decisionale, non avendo gli amministratori una reale indipendenza gestionale.
L’esame dei dati contabili e della voluminosa documentazione degli atti di gestione, l’ulteriore attività di indagine anche eseguita con mezzi tecnici e l’effettuazione di mirati sopralluoghi sui cantieri hanno fatto emergere che il cinquantenne attraverso artifici contabili, false fatturazioni, simulava la compravendita di imbarcazioni per gonfiare il valore delle azioni quotate a suo tempo in borsa della predetta società holding.
L'inchiesta messinese si muove parallelamente a quella che il procuratore capo Emanuele Crescenti sta conducendo a Barcellona e che riguarda il fallimento della società Aicon vero e proprio. Anche in questo caso, però, il risvolto della vicenda, lungo i diversi gradi di giudizio, sta registrando esiti altalenanti con diversi ribaltoni.
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Alessandra Serio