Il mistero della torre
Ci eravamo lasciati con le note storiche del Fazello. Fin qui nulla quaestio, ma è poche righe più in là che lo storico abate indulge in reminiscenze classiche che lo portano a rintracciare nel greco “Phàlos” il nome “Faro”, voce corretta dal volgo con l’aggiunta di una “erre” appunto, e ci informa di un particolare interessante. Afferma infatti che la torre della punta messinese prese il nome dal Faro di Alessandria d’Egitto, a suo tempo una torre edificata da Tolomeo Filadelfo.
A distanza di qualche anno è Maurolico, nel Sicanicarum, a scrivere sull’argomento. Esula dal riportare tutte le cervellotiche ipotesi degli altri storici sul nome “Faro” e si limita, con prudenza, a parlare di una “turris cum lanterna nocturnisque inde Pharus Pelori”. Sulla sua falsariga si attestano le testimonianze, richiamate da Puzzolo Sigillo, non di due voci qualsiasi, ma di autorevoli topografi della seconda metà del ‘Cinquecento quali sono Giulio Omodei e Camillo Camilliani (a quest’ultimo si deve, per intenderci, il sistema di difesa a fortificazioni turrite che costeggia l’Isola, alcune visibili per esempio sull’A20 in direzione Palermo, v. Gliaca, Brolo etc.). Nella sua Descrizione della Sicilia, ospitata nella Biblioteca storica e letteraria di Sicilia del Di Marzo (1874), Omodei perpetua l’equivoco sul nome Faro e descrive “un’altissima torre che anch’oggi vi sta, con una lanterna accesa per luce e scorta dei naviganti…fu chiamata la torre del Faro, d’onde prese il nome questo mare ancora il quale comunemente quasi da tutto il mondo vien chiamato il Faro di Sicilia o di Messina”. Siamo, lo ricordiamo, nel XVI secolo.
La torre di recente costruzione di cui parla il Fazello sarebbe una riedificazione di un’altra più antica: ce lo dice nientedimeno che Placido Samperi, nella sua postuma Messana duodecim titulis illustrata (1653). Afferma lo studioso che una torre starebbe lì sin dai tempi dei Greci e per dimostrarlo propone un passo di Strabone (Geographica, III, V, 5) in cui questi fa menzione di una torre sul capo Peloro e di una torretta sull’opposta spiaggia di Reggio, aventi però funzione di “colonna” più che altro, e non di faro. C’è un altro passo, stavolta di Valerio Massimo, in cui si dice che Annibale abbia seppellito sul “faro” (località) il duce della sua armata, erigendovi una statua con una torcia illuminata (una sorta di antica statua della libertà!).
Si tratterebbe però di una storiella suggestiva (rectius, suggestionante), quanto fantasiosa, al punto che lo stesso Samperi smentisce tutto nella Iconologia della gloriosa Vergine madre di Dio Maria protettrice di Messina (1644). Altra testimonianza, sebbene minore, ma che comunque Puzzolo Sigillo ha ritenuto giustamente di citare è quella del cronista messinese duecentesco Bartolomeo di Neocastro (“in medium fari quod est inter turrim et scillam”). Risale invece al viaggiatore Siefert la descrizione nell’opera Zankle-Messana – Ein Beitrag zur Geschicte Siciliens (Altona, 1854) di un “doppio faro” sulle due sponde riprendendo Plinio (3.5), il quale a sua volta parla di “Siculum fretum, ac dua adversa promontoria”. Abbiamo così aggiunto altre tessere ad un mosaico il cui disegno sta prendendo forma e che apparirà nitidamente nel prossimo (ed ultimo) appuntamento alla scoperta del vero e più profondo significato che si cela dietro al toponimo “Faro”.
Vittorio Tumeo