L’Onu pensa di introdurlo tra gli indicatori di sviluppo a livello internazionale
Esiste nel mondo un Paese che calcola il “Pil della felicità” del suo popolo e adesso l’Onu sta per introdurlo tra gli indicatori di sviluppo a livello internazionale. Nel 1972 è stato l’allora sedicenne re del Bhutan, 47 mila metri quadrati ai piedi dell’Himalaya incastonati tra la Cina e l’India, a comprendere che la felicità dei cittadini è importante molto più dei rigidi canoni economici ed ha introdotto, accanto al Pil, prodotto interno lordo, il Fil, felicità interna lorda. Ha chiamato a raccolta esperti di psicologia, economia e sociologia che hanno individuato 72 indicatori per valutare il benessere interiore. “Da secoli i modelli economici si basano sull’avidità- spiegano nel Bhutan- portando i Paesi a concentrarsi sul profitto e sul desiderio di possesso e consumo, ma lo sviluppo economico a tutti i costi sta generando calamità e problemi contro l’uomo”. L’Onu ha recepito il messaggio e in queste settimane sta valutando come inserire il Pil della felicità a livello mondiale. Dal lontanissimo Bhutan, che a qualcuno potrebbe persino sembrare un Paese di serie B, arriva una grande lezione di civiltà. Laggiù da 40 anni c’è un governo che non solo ha interesse a voler sapere se i suoi cittadini sono felici, ma addirittura, qualora non lo fossero, fa in modo di aiutarli nel cammino verso la felicità. L’Occidente ha fatto il percorso opposto, invitando al perseguimento della felicità individuale e facendo equivalere il concetto di felicità a quello di consumo e possesso di beni materiali. Più sei ricco più sei felice. Agli occhi di un italiano il governo del Bhutan cui sta a cuore sapere non solo se il popolo è soddisfatto, ma addirittura felice, fa pensare che alle pendici dell’Himalaya viva un popolo di pericolosi marziani. Basta dare un’occhiata ai quotidiani per comprendere come ormai si assista al prevalere del più becero interesse individuale su quello della collettività. Anzi, non esiste più il bene pubblico, figuriamoci che gliene frega a quanti hanno perso il lume del contegno se i cittadini sono “felici” o appena appena sull’orlo del suicidio. Veniamo cresciuti pensando che soltanto tramite l’acquisto (o il baratto……di tutto, corpo, mente,anima)si possa essere felici. Il prodotto interno lordo calcola il benessere sulla quantità dei beni prodotti: quante automobili, bottiglie di vino, scarpe, abiti, vengono prodotti.Più aumentano più siamo ricchi e felici. Il re Jingme Singme Wanchunck si è convinto che invece per sapere se il suo popolo è davvero ricco occorreva misurare anche la felicità. Ad esempio: un bambino va all’asilo, i genitori pagano la retta e il Pil dice che il denaro si muove quindi c’è benessere. Se i genitori invece decidono di mandare il bambino dai nonni, il Pil non lo saprà mai perché il denaro non gira, ma il bambino con ogni probabilità sarà felice. Il Pil non può calcolare quella quota di felicità che non viene dal denaro. Se andiamo al cinema il Pil lo registra con il pagamento del biglietto. Se andiamo a vedere un tramonto al Pil non gliene frega niente, ma se quel tramonto non lo possiamo più vedere perché hanno costruito un ecomostro sulla spiaggia e siamo tristi e quindi costretti ad andare al cinema il Pil penserà che siamo felici perché paghiamo il biglietto. Questo solo vede il Pil, un Paese di acquirenti, un popolo di consumatori. Nel Bhutan il Pil si accorge se c’è FELICITA’ INTERNA LORDA: misura le vacanze, il tempo libero, se ci sono boschi e laghi, servizi per i cittadini, spazio per il loro benessere interiore. Magari un occidentale penserà che queste sono follie da buddisti. Invece nel 1968, le stesse parole le pronunciò Bob Kennedy, candidato alla Presidenza degli Stati Uniti, che non fu eletto solo perché venne ucciso: “Non troveremo mai una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare i successi del paese sulla base del Pil. Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, le serrature per difendere le nostre case e le prigioni per chi cerca di forzarle, le ambulanze per soccorrere i feriti delle stragi nelle strade, comprende programmi tv che valorizzano la violenza per vendere giochi violenti ai nostri bambini. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l’onestà dei nostri dipendenti pubblici, non misura né la nostra saggezza né il nostro coraggio, né la devozione al nostro paese. Misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”. Nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti il terzo diritto inalienabile è il diritto alla ricerca della felicità. So bene che non possiamo aspirare ad essere come i 650 mila cittadini del Bhutan, che certamente avranno anche loro problemi, ingiustizie e amarezze, ma mi piacerebbe che a qualcuno venisse in mente di inserire nel Pil anche quell’indicatore che nel Bhutan chiamano Buon governo. Non so esattamente a quanto ammonti il nostro Pil, non oso immaginare il nostro tasso di Felicità interna, ma c’è un indicatore che a mio parere si potrebbe misurare: il Piil, Prodotto interno d’indignazione lorda. Basterebbe chiedere a ognuno quanto sia stanco ed indignato e misurare quanto questa indignazione non sia più tanto “interna” ma stia per esplodere ed essere esternata. Misurando questo tasso si capirà quanta strada c’è da fare prima di arrivare, se non proprio alla felicità,almeno ad una placida serenità….Rosaria Brancato
Mi piacerebbe sapere secondo quale logica 650.000 persone possono stare in 47.000 metri quadri. In pratica 13 persone al metro quadro. Comodo 😀
Mmm a quanto pare la lezione di geometria non e’ servita!
Bhutan da miseria u Pil arrivau…
e non mmi diciti nenti!!