La mafia è cambiata, l'oligarchia dell'antimafia è rimasta immobile ai riti, ai dogmi,alle icone

La mafia è cambiata, l’oligarchia dell’antimafia è rimasta immobile ai riti, ai dogmi,alle icone

Rosaria Brancato

La mafia è cambiata, l’oligarchia dell’antimafia è rimasta immobile ai riti, ai dogmi,alle icone

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domenica 13 Marzo 2016 - 07:41

La mafia, come prevedeva Falcone, è cambiata, ma è sempre pericolosa. Quel che è rimasta immobile è l'antimafia. Anzi l'oligarchia dell'antimafia che su riti, icone, dogmi, ha costruito piccoli e grandi imperi del club degli intoccabili.

Oggi voglio riflettere sulla cristallizzazione dell’antimafia a fronte di una mafia che è mutata pericolosamente e necessita di nuovi strumenti per combatterla che non siano rituali stanchi. Giovanni Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tale ha un inizio, un’ evoluzione e una fine. Non sono convinta che avrà una fine, ma è evidente che è cambiata. Quella che è rimasta immobile è l’antimafia. E’ come aver combattuto la seconda guerra mondiale con le baionette. Mentre la mafia ha avuto un inizio ed un’evoluzione l’antimafia ha avuto solo l’inizio, trasformandosi in un “club esclusivo” che non accetta dubbi, attribuisce patenti e tessere per i soci, sforna manuali, rituali, dogmi ed emana bolle papali contro chi ha una visione diversa o si fa domande.

Negli ultimi mesi sono accadute cose passate sotto silenzio perché è molto più facile scrivere solo degli eroi delle legalità e un po’ meno di chi invita a guardare oltre alle star dell’antimafia delle carriere e di andare al sodo, quel che vive lontano dai riflettori, dai microfoni, dai Palazzi della politica. Uno dei sacrari del rituale antimafia è la Commissione Antimafia, con le diramazioni regionali. Commissione che per antonomasia è infallibile anche quando si limita ad arrivare “dopo” le inchieste senza cercare di esaminare le radici, il contesto, di un fenomeno. Le indagini, le accuse, le condanne spettano ai magistrati. Alla politica spetta il compito di capire le strade per cambiare in meglio la società, di captare i segnali di crescita o d’involuzione e di trovare strumenti legislativi o sociali per dover sempre meno avere bisogno dell’intervento della giustizia.

A dicembre, dopo l’abbaglio preso sul caso del giudice Saguto, la Commissione chiama in audizione il professor Salvatore Lupo, ordinario di storia contemporanea all’Università di Palermo, e coautore con il giurista Giovanni Fiandaca del libro “La mafia non ha vinto”. Già il titolo non può piacere al club dell’antimafia perché ne depotenzia e ne mina l’esistenza stessa. Ma la tesi del professore Lupo va oltre e dice: La guerra dei decenni scorsi e che è coincisa con la nascita, l’adolescenza e la maturità della mafia è finita. Quel che è rimasta uguale è la schiera degli antimafiosi di professione. “L'antimafia, definisce se stessa società civile però nel contempo raffigura se stessa come il tutto- spiega Lupo- mentre invece spesso questo flusso prende la forma di parti, che non si definiscono partiti, ma movimenti. La guerra è finita, quella mafia non c’è più, ce n’è un'altra, pericolosa anch'essa, ci sono altre mafie, ma sul fronte dell'antimafia ci sono soggetti che agiscono come se niente fosse successo”. Intorno alle “star” della legalità ed ai riti si crea una sorta di intangibilità ai confini con la santificazione.

Apriti cielo. Ci sono obiezioni che non si possono avanzare. La replica degli intoccabili è: fin quando la mafia esisterà deve esistere l’antimafia (cioè loro stessi). Se poi qualche simbolo viene arrestato, finisce sotto inchiesta o qualcuno mette in dubbio una serie di dogmi, si grida all’anticristo. Lupo arriva persino a fare riferimenti a quei magistrati, come Ingroia che un giorno indagano e il giorno dopo ci scrivono sopra i libri e quello dopo ancora si candidano. Ci sono poi i simboli della politica dell’antimafia, dell’imprenditoria antimafia, dell’associazionismo antimafia. Il problema non è la lotta in sé, il rischio è quando su questa bandiera ci costruisci una carriera, un potere, una rete economica, alla fine ti arrocchi su quella posizione di rendita pensi che basti ripetere sempre le stesse frasi, davanti ad una platea di studenti o elettori, per aver fatto il tuo dovere.

Il caso dell’ex presidente della sezione di misure di prevenzione di Palermo, Silvana Saguto finita sott’inchiesta per le gestione dei beni sequestrati alla mafia, è emblematico. Il primo a denunciare tutto, davanti alla Commissione antimafia, nel 2014 fu l’ex prefetto Caruso, presidente dell’Agenzia dei beni confiscati. Denunciò quegli strani movimenti che accadevano a Palermo nell’assegnazione dei beni confiscati e la strana rete d’incarichi e parentele. Caruso, recatosi in Commissione per fare il suo dovere di cittadino finì sul “banco degli imputati” degli intoccabili e fu accusato di voler delegittimare i simboli. Un anno dopo, nell’autunno 2015 la procura di Caltanissetta prova che Caruso aveva ragione e che la Commissione aveva avuto l’opportunità di arrivare prima della giustizia e di tramutarsi in strumento che capta come cambia la società e come certe forme siano arrivati sin nei gangli vitali dell’apparato che la mafia la combatte. L’antimafia si è fatta trovare impreparata perché ormai è irrigidita in ruoli immutabili.

Poi ci sono i casi dell’ex presidente della Confindustria Montante finito sott’inchiesta e quello dell’arresto di Helg, entrambi paladini della legalità. C’è la sordità che ha contagiato i partiti dopo la lettera di dimissioni dell’assessore Borsellino “ragioni di ordine etico e morale mi spingono a lasciare”. Lei, la figlia di Paolo Borsellino, simbolo antimafia per eccellenza, indica un cono d’ombra su un governo basato su icone della lotta alla mafia e nessuno fiata. Stessa sorte è toccata alle dichiarazioni, sempre nel 2015, di Francesco La Torre, figlio di Pio, il parlamentare che pagò con la vita una delle norme che più di tante altre ha dato concretamente colpi alla mafia. A novembre Francesco La Torre, componente del direttivo di Libera dichiara durante l’Assemblea nazionale dell’associazione: “In questi anni Libera è cresciuta, serve un nuovo modello di organizzazione, serve un progetto di formazione della classe dirigente, non si può dirigere tutto da Roma”. Pochi giorni dopo viene cacciato via sms da don Ciotti con la frase: “è venuto meno il rapporto di fiducia”.

Poi è la volta del sostituto procuratore di Napoli Catello Maresca che a Panorama dichiara: “ Se Libera diventa troppo grande, se acquisisce interessi che sono anche di natura economica, e il denaro spesso contribuisce a inquinare l'iniziale intento positivo, si possono inserire persone senza scrupoli che approfittando del suo nome per fare i propri interessi. Libera gestisce i beni attraverso cooperative non sempre affidabili. Ritengo che questa antimafia sia incompatibile con lo spirito dell'antimafia iniziale. E’ diventata un partito che si è auto-attribuito un ruolo diverso. Gestisce i beni sequestrati alle mafie in regime di monopolio e in maniera anticoncorrenziale". Il magistrato ha fatto presente l’esistenza di rischi d’infiltrazioni in un pianeta, quello di Libera, che non è più quello di 20 anni fa e che unisce 1500 associazioni, gestisce 1.400 ettari di terreni, dà lavoro a 126 persone e muove un fatturato da sei milioni di euro. Se la mafia è fenomeno umano lo è altrettanto il suo opposto. Invece don Ciotti querela Maresca e si presenta in Commissione dicendo: “si vuol demolire il percorso di Libera con la menzogna”. E i politici si limitano ad annuire.

Frattanto in libreria arrivano i primi volumi sul fenomeno, ad esempio Giacomo Di Girolamo che si chiede come mai l’antimafia si sia ridotta alla “reiterazione di riti e mitologie, un circuito autoreferenziale, che mette in mostra le sue icone – il prete coraggioso, il giornalista minacciato, il magistrato scortato – che non aiuta a cogliere le complesse trasformazioni del fenomeno” E’ in questo che modo che non ci accorgiamo dei possibili contagi da un sistema all’altro. Ed è facile che accanto ai tantissimi in buona fede arrivino quelli che fanno piccoli e grandi affari attraverso finanziamenti pubblici e progetti per la legalità, o come accaduto a Palermo attraverso la gestione dei beni confiscati. Poi c’è chi fa carriera o consolida il piccolo e grande potere. Di Girolamo parla di oligarchia dell’antimafia che prevede un copione fisso nei dibattiti: il responsabile dell’associazione,il giornalista, il giudice, il politico del luogo ed eventualmente qualche simbolo. “Le mafie cambiano, noi siamo intrappolati nei nostri convegni”. Lo scrittore descrive una scena a cui ha assistito durante una manifestazione antimafia: una mamma, nel mezzo di una gran folla , fa accarezzare il bambino ad un magistrato.

E’ vero, sventurato il popolo che ha bisogno di eroi, ma è altrettanto sventurato un popolo che ha bisogno di creare miti e simbolismi intorno a quegli eroi e non si accorge di come, approfittando di una battaglia che diventa leggenda attorno a queste figure nobili altri costruiscano recinti, torri, feudi.

Rosaria Brancato

8 commenti

  1. Questa volta ho proprio “gustato” il suo articolo e le voglio fare i complimenti per la chiarezza con cui ha scritto il pezzo e per la sua capacità di analisi e di sintesi (senza l’uso di esagerata ironia).

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  2. Questa volta ho proprio “gustato” il suo articolo e le voglio fare i complimenti per la chiarezza con cui ha scritto il pezzo e per la sua capacità di analisi e di sintesi (senza l’uso di esagerata ironia).

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  3. Cara direttore ROSARIA mi pare di capire che auspichi un cambiamento della legge 109, ti ricordo del 1996, un’altra era mafiosa, nella direzione di affidare ai Comuni, agli enti più a contatto con il territorio, la gestione di queste ricchezze patrimoniali, un bel Dipartimento ai Beni Confiscati, lasciare ai Sindaci, liberamente eletti dal Popolo Sovrano, tutta la responsabilità della gestione operativa. Mi pare di capire che diffidi delle associazioni o cooperative, riprendi le parole di altri, come OLIGARCHIA DELL’ANTIMAFIA o RISCHI DI INFILTRAZIONI, immagino mafiose, tu invece parli di FEUDI, dietro i quali fai intravedere tanti feudatari. A questo punto per completare il tuo pensiero dovresti parlare di DON CIOTTI.

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  4. Cara direttore ROSARIA mi pare di capire che auspichi un cambiamento della legge 109, ti ricordo del 1996, un’altra era mafiosa, nella direzione di affidare ai Comuni, agli enti più a contatto con il territorio, la gestione di queste ricchezze patrimoniali, un bel Dipartimento ai Beni Confiscati, lasciare ai Sindaci, liberamente eletti dal Popolo Sovrano, tutta la responsabilità della gestione operativa. Mi pare di capire che diffidi delle associazioni o cooperative, riprendi le parole di altri, come OLIGARCHIA DELL’ANTIMAFIA o RISCHI DI INFILTRAZIONI, immagino mafiose, tu invece parli di FEUDI, dietro i quali fai intravedere tanti feudatari. A questo punto per completare il tuo pensiero dovresti parlare di DON CIOTTI.

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  5. Era più interessante il mio commento moderato fino alla “censura”. Cara ROSARIA hai toccato velatamente un tasto molto delicato,quello dei rapporti di alcuni politici con LIBERA.Informiamo insieme i messinesi del rapporto di amicizia tra DON CIOTTI e ACCORINTI,che insieme a Torino,nella manifestazione Educare alla Consapevolezza,ricevettero il premio Ambasciatore del Perdono.A me rassicura quando un politico ha il sostegno di DON CIOTTI,lo preferisco a tanti oscuri galoppini elettorali. Comunque apprezzo il tuo coraggio, ma questa dei beni confiscati è questione molto delicata, merita un approfondimento con i diretti interessati, mi riferisco al Prefetto e al Sindaco, quelli più vicini alla tua penna.

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  6. Era più interessante il mio commento moderato fino alla “censura”. Cara ROSARIA hai toccato velatamente un tasto molto delicato,quello dei rapporti di alcuni politici con LIBERA.Informiamo insieme i messinesi del rapporto di amicizia tra DON CIOTTI e ACCORINTI,che insieme a Torino,nella manifestazione Educare alla Consapevolezza,ricevettero il premio Ambasciatore del Perdono.A me rassicura quando un politico ha il sostegno di DON CIOTTI,lo preferisco a tanti oscuri galoppini elettorali. Comunque apprezzo il tuo coraggio, ma questa dei beni confiscati è questione molto delicata, merita un approfondimento con i diretti interessati, mi riferisco al Prefetto e al Sindaco, quelli più vicini alla tua penna.

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  7. I pass dei tir passano sul corpo della città. Non andrebbero mai rilasciati. Dio non voglia, ma se dovesse scapparci il morto, chi paga?

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  8. I pass dei tir passano sul corpo della città. Non andrebbero mai rilasciati. Dio non voglia, ma se dovesse scapparci il morto, chi paga?

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