La festa dei morti tra sacro e profano, tra tradizioni che si perdono e immutati riti.
Può essere utile fare un breve riepilogo e un’analisi delle tradizioni raccolte della festività dedicata alla transizione fra la luce e il buio, fra l’attività e l’attesa; uno stravolgimento così forte della natura da spezzare le regole metafisiche e riportare i morti in vita.
Sebbene la “festa unificata” retaggio delle antiche Pomonalia sia un triduo (dal 31 Ottobre al 2 Novembre), in Sicilia da che se ne abbia memoria comincia la sera dell’1 e si sviluppa il 2 Novembre, la vera e propria Festa dei Morti. In diverse parti della Sicilia in questi giorni vengono allestite fiere dov’è possibile comprare i cibi tipici della festività e molteplici altre merci da regalare.
Sono proprio le cose vendute nelle fiere quelle che vengono usate per apparecchiare la tavola alla vigilia della Festa, la sera dell’1 Novembre: dolci di svariati tipi con al centro un pupu di succaru o pupu a cena (dolci di zucchero antropomorfi) sono lasciati in offerta ai morti, che presto invaderanno i centri abitati. Sigillato il rituale della preparazione con una filastrocca omaggiante le Anime Sante, i vivi vanno a dormire e cedono il posto ai morti.
Durante la notte cade la barriera che spartisce i mondi e gli spiriti dei defunti ritornano nella dimensione materiale; in alcune zone ascendono dalle cripte degli antichi conventi, vestiti di bianchi sudari e camminando a piedi nudi o con scarpe di seta. Percorrono sempre i medesimi tragitti per le vie buie e solitarie alla ricerca della strada di casa, illuminando il cammino con torce accese e cantando litanie; talvolta fanno tappa in luoghi sacri o si fermano a banchettare. Troveranno porte aperte e grazie alle tavole imbandite placheranno il loro anelito ancora forte verso la vita che hanno perduta.
Se gli spiriti sono stati soddisfatti dell’omaggio, lasceranno qualcosa: canistri di frutta secca a celebrazione dell’ultimo raccolto e regali nascosti, veri e propri doni dall’oltretomba che debbono essere cercati negli anfratti; ma soprattutto lasciano frutta martorana, dolci in pasta di mandorle a forma di frutti, e i biscotti chiamati ossa dî morti, dalla forma di frammenti d’ossa. Le famiglie dei cari non possono accorgersi della visita, se non al risveglio, quando trovano le cose portate dai morti, unico segno tangibile del loro passaggio; i fantasmi incarnano dunque in Sicilia eccezionalmente il ruolo di dorofori e vengono amichevolmente chiamati morticielli e morticini.
Al rinvenimento dei doni segue il contraccambio dei vivi ai morti, ossia la visita alle tombe. Le famiglie trascorrono la giornata nella necropoli, mangiando pasti a base di fave sulle lapidi o nelle cappelle familiari presso i resti dei loro cari, in armonia con essi: il pericoloso squilibrio della vigilia è stato sanato. Quelle che il giorno prima erano offerte per i trapassati diventano cibo per i vivi.
Nella Festa si conciliano due elementi: l’esaltazione del raccolto ormai alle spalle, autentico e genuino fulcro delle Pomonalia, e la commemorazione dei defunti, che nelle vesti di dolci dalla forma umanoide e fave – contenitrici d’anime – vengono ritualmente ingeriti per conservarne le qualità e la presenza.
Pare proprio che noi Siciliani siamo macabri quanto i popoli celtici. C’è poco da criticare Halloween sul significato delle sue usanze, rassegniamoci, le nostre sono persino più oscure, ma sempre profonde e comunque pagane.
Una constatazione sofferta: il fatto che negli ultimi secoli la Festa dei Morti sia stata sempre rivolta ai più piccoli è chiaro segno del decadimento della ricorrenza stessa e della sua perdita di significato; come quando si lascia giocare i bambini con qualcosa di rotto. Ci si lamenta tanto della contaminazione culturale, ma se le nostre tradizioni non hanno solide basi, quale biasimo può esserci se non quello rivolto a noi stessi?
Meditiamo, ripristiniamo ciò che ci appartiene con coscienza e sentimento, e forse si potrà contrastare l’“invasione” d’oltreoceano. Un augurio tradizionale a chi legge: buone Pomonalia!
Daniele Ferrara