Il critico d'arte ha raccontato i misteri dell'opera antonelliana dal palco del Teatro Greco. Riflessioni a cura di Tosi Siragusa
Il critico d’arte Vittorio Sgarbi, che all’intitolazione, all’alba del 13 agosto, è stato omaggiato a Tindari con la citazione del solo suo nome in parallelo al sommo Antonello, ha inteso celebrare in questa conferenza all’alba il messinese più illustre. Sono state in particolare ripercorse alcune opere siciliane: “Annunziata”, “Ritratto d’uomo” e “Crocifissione di Sibiu”, quest’ultima conservata ad Anversa, ma immersa in un immaginario ambiente siculo, con rimandi alla messinesità.
Sgarbi, con il suo peculiare stile e la profonda conoscenza della storia dell’arte, ha svelato con la consueta sapienza, attraverso un processo critico, i misteri dell’opera antonelliana. L’incipit però è stato dedicato proprio alla terra tindaritana e a Salvatore Quasimodo, che già l’aveva consegnata ai posteri nella lirica “Vento a Tindari”, all’uopo recitata. Il monologo artistico è proseguito con fluidità fino alle sette all’incirca, nell’incanto del sito archeologico e al suono dei colombi che tubavano. Sebastiano Lo Monaco è intervenuto con la citazione, dal pirandelliano “Berretto a sonagli”, delle famose “corde”, che attiviamo nella convivenza sociale: la “civile”, spesso parecchio scordata, la “seria”, utile quando le acque si intorbidano e la “pazza”, usata quando gli altri rimedi paiono impossibili. Certo che se si prova ad utilizzarle insieme le parole risultano stonate… Sgarbi, sul finale, ha dato inoltre spazio alle domande del numerosissimo pubblico intervenuto. Si è anche discusso del referendum prossimo e del bicameralismo perfetto, che si vorrebbe cancellare (indebitamente) pur mantenendo 150 consiglieri quali senatori. Secondo il critico d’arte – che è autore di un testo a quattro mani con il costituzionalista Michele Ainis, “La Costituzione e la bellezza” – per potenziare le specificità artistiche e paesaggistiche italiane, l’attuale articolo 9 della carta costituzionale andrebbe inserito nell’articolo 1. Per tornare più in dettaglio alla “lectio magistralis” de qua, Sgarbi, che è anche divenuto da ultimo “uomo di teatro dilettante” – come ama definirsi – e sta portando Caravaggio a teatro alla Versiliana, ha evidenziato che Antonello ha sicuramente visto il mare di Tindari e questo panorama immenso e che ancora alcuni, “a loro danno” ignorano il pittore messinese, dotato invece di forza oltre misura e quasi anticipatore dell’unità d’Italia sotto il profilo artistico; con quel particolare risorgimento, che per l’arte è stato il Rinascimento, infatti, sono nati nuovi canoni a Venezia e a Firenze, con un linguaggio culturale unificante. La formazione del genio antonelliano, paragonato a quelli di Giotto, Caravaggio e Michelangelo, è stata napoletana e siciliana, con spunti tratti dai modelli fiamminghi. Da Giovanni Bellini Antonello ha preso l’arte di scandagliare l’anima con dolcezza – come per l’Annunciata di Palazzo Abatellis di Palermo – e i due artisti si sono certo incrociati. Anche Piero della Francesca e Mantegna sono stati tenuti presenti da Antonello e i grandissimi citati sono stati impegnati a reinserire gli elementi nello spazio, in una conversazione (spesso) sacra, generando una nuova spazialità, come Antonello con la Pala di San Cassiano, conservata a Vienna. Sgarbi ha ripercorso poi la vicenda che lo ha visto in prima linea per l’acquisizione da parte della Regione Siciliana, per una cifra conveniente, della tavoletta bifronte con su una facciata l’“Ecce homo”, in architettura di gusto gotico, ma con una profondità prospettica, e sull’altra "La Madonna con Bambino e francescano": trattasi secondo il critico di un’opera dipinta proprio a Messina. Ulteriore racconto si è susseguito su un trittico di Antonello, scoperto intorno al 1982 in una casa di Piacenza, nascosto sotto altri dipinti e su come al fine si sia riusciti a mettere insieme i tre comparti e riunirli. L'”Annunciazione” di Palazzo Bellomo, proviene da Palazzolo Acreide; da Simone Martini a Lotto la Vergine è sempre stata dipinta con consapevolezza di quanto le stava accadendo, nell’”Annunziata” palermitana vi è il velo, ma manca l’angelo: è infatti un’Annunziata, non un’Annunciazione, e l’Angelo è interiorizzato. La Madonna ha uno sguardo perso, e sembra stia pensando a cosa dire, mentre con una mano prova a tutelare il Bambino, e con l’altra stabilisce un limite, un confine (mano di prospettiva, tipo “Vergine delle rocce” di Leonardo) il tutto in uno sfondo nero privo di spazi architettonici, perché la madre di Dio vive in condizione di grande interiorità; il leggio è di spigolo. Nel “San Girolamo”, dipinto a Venezia, Antonello appare più avanti di Piero della Francesca e il quadro rispecchia le architetture palermitane (probabilmente Palazzo Chiaramonte): la spazialità è intesa quale scatola di Escher, sembra un’architettura degna del Bauhaus, quella ove è allocato S. Girolamo. L’ambientazione ricomprende piante da esperto di botanica, un gatto, le ceramiche del pavimento, un bacile, due volatili, etc. Importante anche il “S. Sebastiano”, conservato a Dresda e la crocifissione di Sibiu in Romania, con il Cristo al centro, dominante, in un paesaggio ove gli alberi paiono contorti e su di essi sono montate le figure dei due ladroni. Ancora, il “Ritratto d’uomo” al museo Mandralisca di Cefalù, a dire del critico, dovrebbe essere il simbolo della Sicilia, poiché il suo sguardo è tipizzato: non è da mafioso, ma da “stronzo”, di chi vuole cioè il male altrui e il bene proprio. Il volto è stato restaurato ed è dotato di unicità, sembrando anche voler irridere l’osservatore. Sulla superfice sono visibili 15 graffi e graffi e cancellazione delle figure dei cattivi appaiono, quali sfregi interessanti, per il tentativo di cancellazione del male, anche nel “Seppellimento di Santa Lucia”, con due carnefici. Al museo Correr di Venezia trovasi ancora la Deposizione con Angeli di pietà che sorreggono il Cristo. L’"Ecce homo" di Piacenza sembra, infine, chiedersi “Che ci faccio?”, molto scetticamente. L’importanza dell’artista, come evidenziato, è andata ben oltre la tecnica, nella rappresentazione di personaggi dotati di forza interiore, individui cioè.
II genio di Antonello da Messina è stato in definitiva lodato da Sgarbi per la grandezza nella scelta dei soggetti – persone definite – e per le intuizioni artistiche, poi riprese dalla posterità. In conclusione, Tindari, luogo ancora incontaminato, magico, con un teatro con apertura verso il mare e su un paesaggio meraviglioso, bella secondo l’intuizione quasimodiana, ancora una volta ci ha offerto la tradizione mutuata dalla Grecia antica dell’alba teatrale. Anche gli scenari di Segesta, come le Dionisiache dal 1999 sono divenuti retaggio di riti della civiltà mediterranea (come le Grandi Dionisie e le Lamee ateniesi, che però si concludevano al tramonto, per compenetrarsi, oltre che con il misticismo dell’alba, con la spiritualità dello spirare dei raggi solari) e anche anticamente gli sfondi paesaggistici delle cavee erano spettacolari. Certo, il brand in Sicilia sembra funzionare, ma solo in siti particolarmente sublimi, ove nel silenzio si ricrea in primis il legame metafisico con il creato. E così qui il teatro della natura e la natura del teatro hanno ben funzionato, anche per la grande affabulazione di Vittorio Sgarbi, che è riuscito a incantare gli spettatori.
Tosi Siragusa