“In veste di rosa”, e le catene si trasformano in ghirlande di fiori

“In veste di rosa”, e le catene si trasformano in ghirlande di fiori

Redazione

“In veste di rosa”, e le catene si trasformano in ghirlande di fiori

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sabato 11 Luglio 2015 - 07:09

Il secondo appuntamento con il Forte Teatro Festival è previsto lunedì 13 luglio, alle 21, al Parco ecologico San Jachiddu: in scena lo spettacolo “In veste di rosa” per la regia di Domenico Cucinotta.

L’opera, liberamente tratta da “Miracolo della rosa” di Jean Genet, nasce dall’incontro, sul piano drammaturgico, tra il regista Domenico Cucinotta e Pippo Venuto, attore della Compagnia della Fortezza di Volterra. Un progetto, quest’ultimo, che dal 1988 si pone l’obiettivo di travalicare i ristretti spazi – fisici e mentali – della detenzione per approdare dall’isolamento al processo creativo, dunque all’arte.

Pippo conosce l’arte durante la sua detenzione, prima attraverso la pittura e poi grazie al teatro.

In veste di rosa è il momento in cui la storia personale dell’attore si mescola al racconto ultraterreno, seppure pregno di vita, di Genet.

Il canto della rosa è una muta bellezza. Il suo profumo può inebriare i luoghi più nascosti donandoci l’incanto dell’inatteso. Siamo liberi di non credere che nell’aria più rafferma, possa all’improvviso sorprenderci un profumo di rosa. Eppure è così.

E se ci abbandoniamo a questa possibilità, allora basta risalire all’origine del profumo, attraverso bui corridoi, porte e cancelli fino a giungere nella stanza più remota, oltre la cui porta vive un uomo recluso perché assassino, che attende la sua condanna a morte.

Seguiamo ancora il canto della rosa fino ad entrare nel corpo dell’uomo alla ricerca del suo cuore, fino a giungere nella stanza più segreta, e qui, scoprire il fiore mistico: la grande rosa dai petali giganteschi e carnosi.

Questo è il viaggio prodigioso per il quale Jean Genet ci conduce nel suo romanzo “Miracolo della Rosa”. Chiuso nella sua cella, Genet trascrive i ricordi della sua prigionia: dalla colonia penale, dove è stato rinchiuso ancora minorenne, fino alla prigione di Fontevrault nella quale sconta una pena per furto.

La crudezza quotidiana è una mistica tortura, mentre le catene, agli occhi dello scrittore, si trasformano in ghirlande di fiori. Harcamone, il condannato a morte, anch’egli rinchiuso nella prigione di Fontevrault, è il capro espiatorio che si sacrifica per tutti e la cui morte è redenzione; salvifica luce che si irradia dalla sua cella. La morte avviene nel momento in cui nere figure (un boia, un giudice, un avvocato e un prete) giungono alla fine del loro viaggio nel corpo di Harcamone e divorano la grande rosa che è il suo cuore. Nel momento della morte trasfigurata, un sorriso distante, che sovrasta ogni cosa, appare sul volto di Harcamone. Di fronte a questa immagine non rimane che un silenzio per il mistero che si svela. Il mistero del “dritto che incontra il rovescio” o della “bruttezza che è bellezza in riposo”.

“In veste di rosa” è una leggenda non del tutto inventata. Al sorger della luna, muoia l’assassino.

Vegliamo dunque, vegliamo.

A conclusione di ogni singolo spettacolo il dopofestival del Forte, un momento in cui attori e pubblico hanno la possibilità di incontrarsi, mangiare e bere insieme, condividendo la bellezza del Parco ecologico San Jachiddu.

Prossimo spettacolo 15 luglio, ore 21, “Terremoto”, regia di Saverio Tavano con Alessio Bonaffini, Gerri Cucinotta e Gianfranco Quero (Nastro di Mobius).

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